E’ indubbio che nell’arco di un ventennio la politica del nostro Paese ha subito una rivoluzione radicale. Anzi per la verità la rivoluzione è avvenuta nell’arco di due anni tra il 1992 e il 1994 cioè con l’avvento nella scena politica della figura di Silvio Berlusconi. Ma facciamo un breve passo indietro, e cerchiamo di ricordare cosa era la politica prima del 1994.
Lo scacchiere politico italiano era caratterizzato dalla presenza di 7 partiti politici e cioè i 6 dell’arco costituzionale (DC, PCI, PSI, PSDI, PRI e PLI cioè quei partiti che avevano contribuito alla redazione e approvazione della carta costituzionale) e il MSI.
Di questi sei partiti, 5 erano quelli che dal dopoguerra, o meglio dalla fine degli anni ’60, e fino al 1992 hanno ottenuto la fiducia degli italiani per governare mentre il PCI rappresentava il grande partito delle masse popolari, del proletariato, degli operai, ma pur sempre la minoranza.
Indubbiamente il cuore dello Stato, il partito che ne aveva la guida politica ed istituzionale era la DC che inglobava in se, e questa era la sua grandezza, tutte le fasce sociali, dall’operaio all’ingegnere, dall’inserviente al primario, dal manovale all’avvocato, rappresentandone e difendendone tutte le esigenze e le speranze.
Ma ciò che caratterizzava la politica di allora era che essa si muoveva sulle idee, gli scontri avvenivano sulle idee, sui metodi e sui programmi di governo e chi veniva eletto sapeva di dover difendere, seppur senza vincolo di mandato, le ragioni di ciò che rappresentava ed il legame tra l’eletto ed il partito di appartenenza, ma anche il rapporto tra l’eletto e l’area di opinione interna allo stesso partito e, quindi di riflesso l’impegno assunto con i propri elettori era quasi inscindibile.
E quando qualche eletto, cambiava partito, cosa alquanto difficile, o addirittura cambiava corrente all’interno dello stesso partito si gridava allo scandalo.
Da giovanissimo studente seguivo le vicende politiche della mia città, che è sempre stata un laboratorio politico per l’intera provincia e per un certo periodo anche della regione, e ricordo lo scalpore che fece il passaggio di un consigliere comunale che dal partito socialista passò alla DC, se ne parlo per settimane intere, sulla carta stampata e sulle TV locali. Oppure ricordo il mormorio su un particolare consigliere comunale, sempre della mia città di cui non ritengo giusto fare il nome ma di cui ho sempre avuto poca stima, che ad ogni tornata elettorale cambiava corrente all’interno della DC al fine di ottenere un beneficio per se o per i membri della propria famiglia.
Però bisogna dire che gli uomini politici di quel tempo sapevano costruire qualcosa, lasciavano un segno del loro passaggio, sia amministrativamente creando opportunità di sviluppo, sia politicamente poichè creavano nuova classe dirigente, consiglieri comunali, consiglieri provinciali, sindaci, deputati regionali e anche deputati o senatori.
In tutto questo debbo onestamente dire che l’unico che si è distinto nella nostra provincia per avere avuto la capacità di coniugare le novità della seconda Repubblica con l’esperienza della prima è stato il Ministro Alfano perché ha saputo difendere, quando ha potuto, il proprio territorio ed allo stesso tempo ha creato classe dirigente. Si pensi ai deputati Fontana, Marinello, Iacolino, Bosco ma anche Sindaci, Presidenti di Provincia e consiglieri.
L’avvento di Silvio Berlusconi ha certamente mutato radicalmente questo modo di fare politica e si è passati dalla politica delle idee al personalismo della politica.
E ancora all’interno della fase berlusconiana è possibile distinguere due epoche quella che va dal ’94 al ’06 e quella che va dal ’08 ad oggi.
Onestamente debbo dire che la prima fase berlusconiana mi ha appassionato perché, in particolare nel 1994 ha bloccato una avanzata della sinistra che non era il centrosinistra di oggi ma qualcosa di più radicale ed integralista. In questo ha pienamente ragione Giuliano Ferrara quando afferma che dobbiamo ritrovare il Berlusconi del ’94.
Certamente questa è l’opinione, sicuramente discutibile, di una persona che non è mai stato un uomo di sinistra ma che ha sempre creduto in una visione cristiana della politica e quindi all’impegno cattolico democratico.
Quella prima fase berlusconiana colmava un vuoto che era quello lasciato dalla DC, falciata dalle inchieste giudiziarie, molti delle quali poi finite in bolle di sapone, e rappresentava un argine alla avanzata della gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto (così lui stesso la definì).
E se mi permettete chi definisce una coalizione politica con tale terminologia mi incute un po’ di timore.
La seconda fase berlusconiana mi piace molto meno della prima, governa male e poco, non ha una vera politica di sviluppo, un programma di rilancio dell’occupazione, un serio programma di investimenti che aiutino le aziende ad uscire dalla crisi e tutto questo al di là delle inchieste che coinvolgono la sfera privata del premier. Alla fine ciò che interessa alla gente è essere governata, ed essere governata bene.
Questa situazione ha provocato una frammentazione del quadro politico con il tentativo di scopiazzare, in modo talvolta confuso e disordinato, quel movimento territoriale che nacque negli anni ’90 nel nord Italia con la guida di Umberto Bossi.
La Lega, per quanto a noi meridionali possa stare antipatica, ha avuto la grande capacità di interpretare le esigenze di un territorio, di difenderne e tutelarne le ragioni, quelle del nord e lo ha fatto perché era un movimento nato dalla base e non dalle alchimie politiche elaborate nelle stanze delle segreterie politiche.
La Lega nord si è data un programma proponendo al proprio popolo, ai propri elettori un cammino che avesse l’obiettivo di migliorare le condizioni, già fiorenti, del nord Italia. Ha creduto e da sempre perseguito il federalismo fiscale e grazie a ciò ha ottenuto il consenso delle regioni del nord.
Adesso si intende proporre al meridione un surrogato in salsa brancaleonica della Lega Nord senza però che si abbia un minimo di programmazione politica e di progetto di sviluppo per la Sicilia ed ancor meno per la provincia di Agrigento che tra tutte è la più isolata dal resto dell’Italia.
E allora in nome di ciò si fa un tipo di alleanza a Palermo, un altro tipo ad Agrigento, un altro ancora a Catania e via dicendo.
Questa è anche la ragione per cui nel nord Italia nasce un solo movimento ad ispirazione territoriale, la Lega, mentre da noi nascono come i funghi e per questo perdono credibilità già prima di nascere.
Ma al di là delle alleanze non ho ancora sentito quale sia la posizione di questi movimenti pseudo territoriali rispetto alla politica economica del Ministro Tremonti, rispetto al piano di investimenti per il sud, quale sia la programmazione che si voglia portare avanti per la realizzazione di un serio piano dei trasporti che coinvolga la provincia di Agrigento.
Quando dinnanzi a tali argomentazioni ci si scontra con il vuoto assoluto allora ti rendi conto che forse questi movimenti servono non a difendere le ragioni del meridione ma a difendere le proprie posizioni, cosa legittima per amor di Dio, ma solo se integrata con gli interessi generali del territorio altrimenti l’elettorato comprende che il solo scopo della adesione a tali movimenti è quello di favorire se stessi ed i propri parenti e amici. Senza creare nulla ne dal punto di vista amministrativo ne dal punto di vista politico.
Un serio piano di sviluppo del nostro meridione e della Sicilia in particolare non può non tener conto dell’apporto dei privati attraverso il projet financial e cioè l’utilizzo e l’apporto di capitali privati per la realizzazione di infrastrutture.
L’unico, nel nostro territorio che ha compreso la necessità di questo sbocco è stato il sindaco di Porto Empedocle Firetto, che io non ho votato, ma che onestamente debbo riconoscere ha saputo sfruttare i capitali degli imprenditori privati per la realizzazione di servizi fruibili dai cittadini empedoclini rendendo così la mia città certamente più vivibile.
Ha concesso aree ai privati ed in cambio ha ottenuto, a parte di far rinascere un’area industriale morta, anche la realizzazione di piccole infrastrutture, quali il palazzetto dello sport, la sistemazione di alcune strade.
Ci sarebbe da scrivere tanto ma lo spazio ed il tempo non lo consente.
Perché ho scelto questo titolo? Intanto comincio col dire che si tratta di una frase che lo scrittore Dumas attribuì a Napoleone Bonaparte nel libro il Conte di Montecristo. Napoleone si trovava in esilio all’isola d’Elba è utilizzò l’ingenuità del giovane Dantes per far giungere una propria lettera ad un suo amico per avvisarlo dello sbarco.
Mentre guardava Dantes andar via disse al suo attendente “siamo tutti Re e pedoni, Imperatori e buffoni”.
Decidano i lettori chi è Re e chi è pedone, chi è Imperatore e chi è buffone in questa nostra terra.
Cordialmente
Avv. Giuseppe Aiello
cell. 3389622713