“Per l’uomo non c’e’ altro inferno che la stupidita’ o la malvagita’ dei suoi simili”.
Marchese de Sade
Karl Popper aveva ragione, quando una dozzina d’anni fa pubblico un saggio che fece molto scalpore, intitolato “Cattiva maestra televisione”. Oggi non è solo la televisione ad essere cattiva perché le immagini violente ci “bombardano” in ogni dove: internet, pubblicità, giornali e telegiornali. Oggi in rete si può pubblicare qualsiasi video, anche il più cruento, ed essere visto da milioni, miliardi persone, non solo adulti, ma anche ragazzi e persino bambini.
Si è iniziato a pubblicare i video delle decapitazioni ad opera di Al Queda durante i sequestri dei giornalisti americani ed europei, tali video sono stati trasmessi anche in alcuni TG nazionali ed internazionali, è stato pubblicato il video dell’impiccagione di Saddam Hussein, e adesso arrivano quelli che riprendono i massacri dei ribelli al governo di Gheddafi in Libia. Nessun filtro, nessun controllo, nessuna censura in rete, nell’etere si trova di tutto.
L’analisi della violenza in Tv è condotta da ormai trent’anni. L’idea sottesa a queste ricerche è l’esposizione a rappresentazioni di violenza influenza gli spettatori: l’idea appare semplice, ma la violenza può essere rappresentata in una quantità di modi e differenze nelle caratteristiche del messaggino e possono avere grande importanza per determinare gli effetti delle diverse scene sugli spettatori. Volendo analizzare gli effetti degli spettacoli violenti, vi è quindi innanzitutto il problema di definire ciò che si considera violenza negli spettacoli televisivi. La violenza è stata definita come l’espressione manifesta di forza fisica che costringe ad azioni contro la propria volontà sotto pena di essere ucciso o colpito, oppure l’essere effettivamente colpito o ucciso (Gerbner e Gross, 1976, nell’ambito della Formulazione del “Cultural Indicators Project” dell’Università di Pennsylvania). Numerose ricerche hanno messo in evidenza i numerosi effetti negativi derivanti dall’assistere a spettacoli violenti fra cui i principali sono:
· Aumentata accettazione della violenza come mezzo appropriato per la risoluzione dei conflitti;
· Desensibilizzazione ai danni-sofferenze sperimentate dalle vittime della violenza;
· Aumento della propensione al comportamento aggressivo;
· Degradazione della rappresentazione della realtà sociale (come minacciosa, pericolosa, in cui la violenza è continuamente presente).
Altre ricerche si sono limitate ad osservare l’esistenza e la concomitanza dei fenomeni negativi osservati. Ma per comprenderne la natura occorre darne una spiegazione e proporre un modello causale: a cosa sono dovuti gli effetti riscontrati? Perché in alcune situazioni essi si manifestano con maggiore intensità? Quali sono i fattori critici?
Per dare risposta a tali interrogativi sono state proposte più teorie sugli effetti indotti dall’assistere a spettacoli di violenza:
ü Teoria dell’apprendimento per imitazione di Bandura: la teoria afferma che l’osservazione del comportamento di un altro (modello) esercita un’influenza sul comportamento successivo di chi osserva, comportamento che viene appreso.
ü Teoria dell’identificazione: nell’ottica psicoanalitica si rileva come nell’infanzia o in stati primitivi di funzionamento psichico vi sono forme di identificazione primarie che implicano la riduzione della distanza tra sé e l’oggetto di identificazione, fino a raggiungere il suo annullamento in una condizione di fusione.
ü Teoria catartica: si ipotizza che l’assistere ad uno spettacolo violento possa costituire una soddisfazione sostitutiva e simbolica delle pulsioni aggressive già presenti in chi guarda anche se non in forma cosciente, permettendo loro di esprimersi in tale forma indiretta anziché attraverso azioni concrete; secondo tali ipotesi l’assistere a spettacoli violenti potrebbe ridurre la tensione ed il comportamento aggressivo in soggetti che potrebbero altrimenti essere propensi ad attuarlo.
ü Teoria della modificazione della percezione della realtà di Gerbner: un elevato consumo di programmi e di immagini violente induce nelle persone a vedere il mondo in maniera negativa e minacciosa e quindi si un atteggiamento costante di allerta che fa sì che esse vivono pronte per aggredire.
ü Teoria dell’attivazione (arousal theory): l’assistere a spettacoli violenti produce attivazione ed eccitazione fisiologica e ciò favorisce l’insorgenza di reazioni aggressive.
ü Teoria della disinibizione: la disinibizione consiste nell’allentamento dei meccanismi inibitori soprattutto in presenza di indicazioni che suggeriscono la giustificazione della violenza. Bandura li definisce meccanismi di disimpegno morale che implicano la tendenza a giustificarsi di fronti alla messa in atto della violenza.
ü Teoria della desensibilizzazione: la ripetuta esposizione a scene di violenza produce una riduzione della reattività di fronte alla violenza nella vita reale. L’assuefazione indurrebbe ad un innalzamento della soglia di attenzione di fronte ad eventi violenti e una tendenza a sottostimare la gravità.
Si può affermare, quindi, che vi è una stretta relazione tra l’esposizione a immagini violente e i comportamenti distruttivi e che ciò comporta una riduzione della sensibilità rispetto alle conseguenze della violenza nella vita reale. Questa spiega il perché molte persone di fronte ad immagini, particolarmente cruenti e scioccanti, che ritraggono azioni o i corpi senza di vita, di chi per un ideale è sceso in piazza, o di chi, semplicemente, si è trovato di fronte al piacere perverso di un mercenario, non mostrano sdegno, incredulità, indignazione, ma anzi, vanno alla ricerca spasmodica di altro materiale inquietante.
Quest’atteggiamento non si sta riscontrando soltanto per questo caso, ma come si sa, è una modalità comportamentale che esiste da sempre, ma mentre tali perversioni, in assenza, soprattutto di internet, venivano vissute nel privato, oggi assistiamo addirittura al “turismo dell’orrore”, ovvero, al “pellegrinaggio” di persone verso quei luoghi in cui si sono consumati efferati delitti: Cogne, Parma, Avetrana e in ultimo Brembrate.
Ma cos’è la perversione? A che cosa serve?
Esistono diverse definizioni di “perversione” ma quella che, a mio parere, risulta essere significativa è la seguente: si definisce perverso ciò che si allontana dal giusto e dal buono ed è, quindi, scorretto e sconveniente (Goldberg, 1998). Attraverso la perversione la rabbia si trasforma in una vittoria su coloro che ci hanno reso infelici, perché, nella perversione il trauma diventa trionfo. L’angoscia viene vissuta come eccitamento che esprime il desiderio di danneggiare l’altro per vendicare i traumi e le frustrazioni del passato.
Sarebbe troppo semplice catalogare le persone che “godono” nell’osservare i corpi martoriati delle vittime di Gheddafi come Sadici, ma così, in realtà non sono, in quanto il sadico è un soggetto che ha una perversione che si esprime attraverso il godimento nell’osservare e soprattutto nell’infliggere la sofferenza agli altri. È una persona attiva, che induce, sofferenza. Il sadico non prova brivido per la morte della vittima, ma solo per un prolungato processo di tortura e di sofferenza su di una vittima cosciente. La morte della vittima è dovuta alla violenza del crimine commesso dal sadico, la cui opera si completa non appena i suoi bisogni sono stati soddisfatti.
L’assistere passivamente ad un via vai di immagini o video particolarmente cruenti denota una modalità di comportamento e di relazione che celano un disagio, un disagio legato al forte senso di solitudine, di sottomissione, di incapacità di reazione e soprattutto di relazione. Tali soggetti non hanno le energie necessarie per poter incontrare/scontrare l’altro all’interno del campo relazionale. Temono il contatto, e hanno poca fiducia nelle loro capacità, nelle loro emozioni, pensieri e azioni, non riescono ad esprimere la propria rabbia godendo, così, delle azioni violente altrui e osservando le torture che vengono compiute ai danni delle persone.
Dott. Irene Grado
Psicologa-Psicoterapeuta della Gestalt
Esperta in Psicodiagnosi Forense
Trainer di psicoprofilassi al parto: metodo Spagnuolo Lobb
Contatti: 338-9908067 e-mail: ire.gr@libero.it