La notizia del ritrovamento del corpo della piccola Yara ha colpito nell’animo un po’ tutti. È arrivata in maniera improvvisa, inaspettata, quasi si stenta a crederci, ma, invece, è la realtà.
Il mio pensiero è rivolto ai genitori che durante tutti questi mesi non hanno fatto altro che sperare di riabbracciare la loro piccola, speranze che sono state anche falsamente alimentate.
Ques’articolo non vuole assolutamente tracciare il profilo di un assassino, ma la mia attenzione si concentra maggiormente al vissuto di dolore proprio dei genitori.
La perdita di una persona cara inevitabilmente provoca senso di vuoto emotivo e, a volte, anche fisico. Sicuramente la morte di una persona significativa, soprattutto di un figlio, genera delle difficoltà che scuotono profondamente, “è un terremoto, a cui seguono le scosse d’assestamento”. Questa metafora descrive bene la profondità della perdita e il peso dell’angoscia che fa vacillare ogni equilibrio all’esterno, dove le macerie sono più visibili, e all’interno, dove le spaccature e le scosse si originano e sono ancora più violente.
Ma separarsi dalle persone care è un processo quantomeno naturale, fisiologico, dettato proprio, come dice S.Francesco D’Assisi, dalla sorella morte.
Ma cosa succede, quando, la nostra sorella si trasforma in mostro, in orco, in un assassino spietato e senza scrupoli che strappa dalla braccia di una mamma una bambina indifesa, con l’unica colpa di essersi, probabilmente fidata, del suo aguzzino?
Ebbene, sarebbe semplicistico e banale descrivere il processo di elaborazione del lutto, anche se necessario, se riferito, però, solo ed esclusivamente alla sfera privata, ma credo che di fronte a fatti del genere tutta la comunità, la collettività si trova a dover affrontare temi strettamente legati all’argomento, ovvero, la morte violenta per mano di altri.
Quello che è successo a Yara può accadere a tutti indistintamente: chi non ha mai accettato un passaggio da una persona amica?
“L’impresa” più ardua che si sede affrontare oggi è relativa alla gestione non tanto dello stordimento, dello sbigottimento, della negazione, ma quanto della Rabbia, dei rancori e dei sensi di colpa con i rispettivi correlati di aggressività e depressione.
Nel caso della piccola Yara questi sentimenti si accentuano notevolmente proprio a causa di una serie di errori procedurali ed investigative a carico di tutte le Istituzioni che a vario titolo si sono occupati delle indagini, e trovo vergognoso (questa è una mia opinione personale) il tentativo di giustificazione delle proprie azioni, esplicitate proprio dalle stesse istituzioni, e non di presa d’atto della propria inadempienza e superficialità nella conduzione e gestione dell’indagine.
Tale variabile non è di poco conto perché blocca il normale processo di elaborazione del lutto, di separazione, fissando le persone nella fase dello struggimento, della ricerca della persona amata e dall’espressione dei sentimenti negativi. Viene messa in discussione la fiducia verso gli altri, il senso di affidamento, vi è un ritiro, una chiusura verso il proprio essere, la propria famiglia, il proprio intimo che impedisce di godere appieno del sostegno emotivo, psicologico, che proviene dall’ambiente che ci circonda.
L’elaborazione del lutto prevede fasi diverse, partendo dalla negazione della perdita, passando attraverso uno stato di accettazione in cui la morte viene ammessa, per arrivare infine alla reale separazione e al saluto definitivo.
Questo percorso prevede stati emotivi intensi e contrastanti, ma comunque fondamentali al fine di mantenere il proprio equilibrio psichico e, contemporaneamente, poter raggiungere un reale contatto emotivo con la perdita subita, in modo tale da poterla affrontare, metabolizzare e superare.
Il lutto è un’esperienza psichica universale, che tutti incontrano nel corso dell’esistenza ma che viene vissuta in tempi e modi molto personali e differenti. Alcuni si comportano in maniera distaccata e controllata, altri piangono e si disperano rumorosamente; alcuni vogliono stare da soli, altri preferiscono una compagnia costante; alcuni eliminano subito dopo la morte le cose che appartenevano al defunto, altri le conservano immutate per anni; alcuni vanno ogni giorno al cimitero, mentre altri lo rifuggono totalmente.
Questa immagine sottolinea inoltre con chiarezza la presenza di un processo: dall’acme dei sentimenti dolorosi dei primi tempi, alle successive “scosse d’assestamento” fino al ritorno a uno stato di quiete.
Le persone variano enormemente nella loro risposta al lutto. Alcune soffrono di un danno duraturo per il loro stato mentale, sociale e spirituale; altre portano il lutto nel loro cammino a ogni passo e altre diventano più mature, più valide di quanto lo fossero prima dell’esperienza del lutto.
Il decorso psicologico del lutto dipende infatti da molti fattori, alcuni legati alle circostanze della malattia ( di lunga o breve durata, presenza o meno di sintomi dolorosi, stato di coscienza,…), alle modalità del decesso (morte improvvisa o attesa, luogo, stato della salma,…), altri a elementi eminentemente personali e relazionali, indipendenti dalla malattia e legati alla vita trascorsa insieme.
I più significativi sono:
– l’età (bambino, giovane, adulto, vecchio)
– il ruolo ricoperto in famiglia (grado di parentela)
– la qualità della relazione (dipendenza fisica, psichica, economica, sociale, vicinanza e coinvolgimento prima della malattia…)
– le risorse e le caratteristiche personali (stato di salute fisica e psicologica, tratti della personalità: sensibilità, consapevolezza, equilibrio, responsabilità, capacità d’adattamento…)
– le risorse del contesto familiare (dinamiche familiari, conflittualità o coesione, apertura o isolamento relazionale, livello socioculturale, fede religiosa ….)
– le risorse del contesto ambientale (rete relazionale di supporto formale e informale…)
– i lutti precedentemente vissuti e loro modalità di risoluzione.
E’ importante sottolineare che l’elaborazione del lutto sarà influenzata anche dalle esperienze relazionali che si sviluppano, prevalentemente legate al tipo di scambio emozionale che si riesce a creare. Naturalmente ogni lutto è diverso da ogni altro ma ciò che accomuna tutti i lutti è la presenza di un processo con delle fasi psicologiche, che in genere si succedono con queste dinamiche e in questa sequenza:
– la prima fase, che va dalla non accettazione alla presa d’atto della perdita subìta e presenta delle reazioni caratteristiche: shock, ritiro, apatia, incredulità, negazione, oscillazione tra negazione e realtà. Queste reazioni psicologiche, che utilizzano i più comuni meccanismi di difesa per poter sopravvivere alla perdita, servono ad attutire le emozioni troppo forti, a evitare il dolore e la sofferenza, tenendo lontano da sé una realtà insopportabile. Spesso è anche presente una scissione difensiva, in quanto le persone possono essere consapevoli intellettualmente di ciò che è accaduto, ma non riescono ancora ad accettarlo emotivamente;
– la seconda fase è caratterizzata dallo struggimento, dalla ricerca della persona amata e dall’espressione dei sentimenti negativi. Compaiono spesso anche depressione, disorientamento e una disorganizzazione di sé;
– l’ultima fase è quella della messa in atto di meccanismi di riparazione con il recupero di un’immagine interiorizzata del defunto (talvolta ridimensionata, talvolta idealizzata, ma non più investita di odio e di ambivalenza) e con il recupero e la riscoperta delle proprie risorse, che consentono una ristrutturazione del campo di vita.
Le reazioni descritte rientrano tutte nella normalità del processo di elaborazione del lutto; non è infatti la qualità, ma la durata nel tempo e l’intensità che ne sottolineano la normalità o la patologia.
La psicoterapia ha il compito di ripristinare o ricreare la capacità maturativa e ripartiva della persona. Si tratta di svolgere quella funzione di sostegno che richiama le figure genitoriali o sociali (Van Gennep, 1985). Lo psicoterapeuta sostiene il paziente in relazione, ai bisogni impliciti ed espliciti, fornendogli un sostegno specifico e ciò permette lo scioglimento dei blocchi, portando, così, alla luce quelle risorse rimaste troppo tempo sullo sfondo, assopite, celate, nascoste. Questo processo permette di contattare quelle parti di sé nuove e che permettono un “adattamento” alle diverse situazioni dell’esistenza, anche quella più difficile.
Dott. Irene Grado
Psicologa-Psicoterapeuta della Gestalt
Esperta in Psicodiagnosi Forense
Trainer di psicoprofilassi al parto: metodo Spagnuolo Lobb
Contatti: 338-9908067 e-mail: ire.gr@libero.it