La follia celata…, nascosta, contenuta, calcolata, “lucida”, quella di Matthias Scheep, padre delle gemelline scomparse, che ha pianificato un gioco macabro, la scoperta dei dettagli passo passo, ma senza la possibilità di modificare il destino per chi ripercorre quel cammino di morte. Di fronte a tale machiavellica crudeltà spesso ci si “consola” o si cerca di razionalizzare un comportamento così perverso puntando il dito sulla follia e, quindi, dando la colpa ad un disturbo mentale che “esplode” all’improvviso. Infatti, i familiari dell’uomo riferiscono: “Siamo tutti d’accordo e persuasi che nostro figlio e fratello abbia potuto compiere ultimamente atti tanto terribili unicamente a causa di un disturbo mentale grave e della perdita della sua personalità normale”.
Ma è proprio così? Si può impazzire improvvisamente? Nessuno si accorge di un comportamento anomalo, di frasi strane dette in momenti inopportuni? Nessuno nota delle difficoltà di tipo sociale e di relazione? E se fosse così, siamo tutti a rischio?
Dai fatti, così come vengono riportati, si evince che Matthias Scheep, era un uomo tranquillo, schematico, ordinato, impegnato nel lavoro e dedito alla famiglia verso la quale ha un attaccamento profondo. È allora perché tutto questo?
Dalla lettura delle lettere che lui ha inviato alla moglie, però, emerge un quadro di personalità fragile, complessa con serie difficoltà a gestire le emozioni e soprattutto vi un’assenza di confini tra quello sente, percepisce e appartiene a lui e ciò che invece è degli altri, vi è una difficoltà ad adattarsi a nuove situazioni e contesti.
È significativo quello che scrive alla moglie nelle lettera successiva sia al suicidio sia all’ultima lettera in cui comunicava la morte delle figlie, ovvero: “non ti suicidare”.
Ovviamente, tale frase così isolata non significa nulla, ma se noi la contestualizziamo proprio all’interno del gioco che ha messo in atto, e soprattutto, successivamente alla lettera in cui annuncia: “Le bambine riposano in pace, non hanno sofferto”, diventa chiaro che Matthias Scheep, durante quei ultimi giorni soffrisse di un delirio lucido, dove lo scollamento dalla realtà è a tratti e quindi vi è una difficoltà a cogliere la “stranezza”.
Ma cosa significa ciò?
Il Delirio è un disturbo psichico caratterizzato da costruzioni mentali senza nesso con i fatti reali, e non correggibili razionalmente dal soggetto in base all’esperienza e alla critica; caratteristica è l’assoluta certezza che il soggetto ha della realtà delle sue rappresentazioni mentali. Può svilupparsi nei disturbi dell’affettività, in particolari situazioni traumatiche ( la separazione dalla moglie e dalle figlie è un fattore stressante e traumatico). Il delirio specifico di questo caso è rappresentato dalla lucidità che implica un pensiero sistematizzato, con buona organizzazione e strutturazione.
Come mai si è innestato questo disturbo?
Di questa storia la cosa che più mi ha colpito è il senso di sofferenza, la sofferenza di Scheep era la sofferenza di tutto il nucleo familiare, nelle lettere ritorna spesso il riferimento alla sofferenza, lui mette fine alla sofferenza, è la sua preoccupazione primaria.
Per lui era intollerabile il pensiero che la separazione facesse soffrire solo lui, mentre il resto della famiglia, probabilmente stava gestendo con risorse nuove, altre, la separazione, e questo lo faceva, appunto, “impazzire”. Probabilmente egli non è riuscito a tollerare la separazione, l’allontanamento, la distanza, e soprattutto la diversità di gestione dell’evento traumatico. Il suo unico modo di adattarsi è stato quello di “proiettare” di mettere nell’altro la sua sofferenza per poterla rendere controllabile, governabile, gestibile.
Il suo comportamento era volto da un lato a ridurre le differenze nel modo di soffrire tra lui e la famiglia, per non sentirsi solo, senza sostegno, senza comprensione, (la separazione fa soffrire tutti e non solo me, io non sono solo, le mie figlie mia moglie soffrono come me), dall’altro, accettare che la sofferenza, così devastante, in realtà era vissuta esclusivamente da lui, era alquanto difficile. Allora per riuscire a sostenere questo fiume di sofferenza si deve per forza darlo a qualcun altro, si deve assegnare all’altro, e quindi, tutti soffriamo e tutti dovremmo mettere fine alla sofferenza.
Si poteva evitare tutto questo?
Credo di no!
La separazione e/o il divorzio di una coppia è un evento di forte stress, traumatico, in quanto richiama tutte quelle paure, ansie arcaiche che nel corso della vita sono state rinchiuse in un angolo del corpo e della mente, e questo celare sentimenti inesprimibili all’ambiente, al mondo, permette un adattamento creativo alla vita e assicura la sopravvivenza. Quando si presenta un fattore disturbante l’equilibrio interno, la modalità psichica, di relazione che ci ha consentito di vivere tranquillamente, viene sconvolta, occorre, quindi, ripristinare un nuovo assetto psicologico, ed ecco il nuovo adattamento creativo, che nel caso di Scheep è il delirio.
Perché credo che questa tragedia non era possibile evitarla?
Alla luce dei vari episodi di cronaca e della mia esperienza professionale mi permetto di osservare che, mentre per la donna, il momento del suo ciclo di vita particolarmente stressante è il post-parto, per l’uomo l’evento che ha una forte valenza traumatica è la separazione dalla propria moglie, compagna, ancora peggio se vi è la prole, soprattutto se tale separazione non è voluta, accettata, ma è subita.
Il senso di fallimento, di frustrazione è molto alto e occorrono una serie di energie interne (autostima, senso di efficacia, capacità di gestire le emozioni) ed esterne (cercare una nuova casa, riorganizzare i tempi di lavoro e di tempo libero per stare con i figli, avere risorse economiche che permettono di gestire in maniera raddoppiata la quotidianità) che consentono di affrontare un cambiamento radicale.
L’esperienza della solitudine ci mette di fronte al fatto che tutto quello che noi credevamo scontato (l’affetto della moglie e dei figli) non è più così scontato, occorre quindi ridefinire se stessi e la propria identità. La separazione è un terremoto emotivo. Si deve ricostruire tutto.
Il disagio che accompagna la difficoltà di definirsi può assumere forme sfumate e sottosoglia che non arrivano ad una diretta osservazione clinica, ma che riducono la capacità personale di intraprendere, di progettare, di essere solidali e di aprirsi ad una dimensione di condivisione sociale (Crespi, 2002). Vi è un crescente malessere diffuso, indefinito, vago, con tratti a volte più depressivi, altre volte più ansiosi, difficilmente inquadrabili in chiare categorie psicopatologiche o precise derive sociopatiche. Il ricorso alla violenza, oggi, si accompagna ad un’esperienza di vuoto esistenziale, di mancanza di percezione del limite e di cecità verso i bisogni, il dolore e persino l’esistenza dell’altro in quanto soggetto (Francesetti, 2005).
Dott. Irene Grado
Psicologa-Psicoterapeuta della Gestalt
Esperta in Psicodiagnosi Forense
Trainer di psicoprofilassi al parto: metodo Spagnuolo Lobb
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