I più recenti fatti, narrati dalle cronache, portano a riflettere su quanto, in tempi non sospetti, pubblicammo sul vecchio blog.
Già allora, manifestammo perplessità dinanzi al proliferare di “uomini coraggiosi”, pseudo “collaboratori di giustizia”, “paladini” osannati e riveriti, quasi avessero avuto un passato di uomini probi e coraggiosi, in perenne lotta contro quella cancrena che indichiamo con il nome di mafia.
Paladini, spesso sotto scorta e circondati da altri paladini.
Uomini delle istituzioni, costretti a fare quasi da camerieri – così vengono spesso trattati da questi nuovi “paladini” – a gente che ben altra dimora e trattamento meriterebbe.
In un paese come il nostro, purtroppo, scrivere di uomini e di cose, è ormai impossibile.
Assurde leggi tutelano la privacy e la “dignità” di delinquenti arricchiti grazie ad affari con la mafia e la politica.
Se a questo si aggiunge che loro sono tutelati, coccolati dalle istituzioni, osannati e portati come esempio d’integrità morale e di coraggio, non è difficile intuire che i delinquenti sono coloro che non condividono un concetto di legalità e coraggio, che passa attraverso la collusione con la mafia e gli sporchi affari con un mondo politico, a sua volta colluso con la criminalità organizzata e non.
Perdonateci pertanto, la nostra mancanza di coraggio nello scrivere i nomi di questi “nuovi eroi” della seconda repubblica, che in un territorio qual è quello nostro, trovano terreno fertile per assurgere al ruolo di antimafiosi per eccellenza.
Il tutto, con il compiacimento delle istituzioni e di chi della pseudo lotta alla mafia fa il proprio cavallo di battaglia politico.
Quando Leonardo Sciascia scrisse “I professionisti dell’antimafia”, pubblicato il 10 gennaio 1987 sul Corriere della Sera, commise qualche errore, confondendo uomini che la mafia la combattevano veramente, con la figura del “professionista” che dell’antimafia ha fatto il suo vincente cavallo di battaglia. Ad onor del vero, il contesto e il momento storico avrebbero indotto chiunque ad inserire tra i professionisti dell’antimafia, uomini che invece a pieno titolo meritano di essere considerati eroi.
Eroi che hanno sacrificato – forse inutilmente – la loro vita, affinchè questo paese potesse tornare a vivere nella legalità.
Al di là di questa considerazione, e delle conclusioni che sono figlie del tempo, è doveroso ricordare come lo scrittore avesse tracciato con grande precisione e lungimiranza il profilo di nuovi “eroi” che sono figli di un sistema marcio che confonde il rame con l’oro e grazie al quale l’ultimo degli uomini, se non i quaraquaquà come amava definirli Sciascia, può cingersi la fronte di allori.
Sciascia nel suo preambolo descrive la figura di questi nuovi eroi, laddove delinea il profilo “di persone dedite all’eroismo che non costa nulla e che i milanesi, dopo le cinque giornate, denominarono “eroi della sesta”.
Allo scrittore, non sfuggì la possibilità che gli “eroi della sesta giornata”, in realtà non fossero semplicemente dei codardi che alla battaglia non avevano preso parte, ma che potessero anche essere dei farabutti che fino al giorno prima stavano dietro le barricate nemiche e che soltanto dopo aver visto la disfatta, avevano deciso di fare il “salto di qualità” passando, come spesso accade in questa nostra italietta, dalla parte di chi in quel momento è il più forte.
Inutile dire, che a ricostruire una perduta verginità, ben si presta il racconto di eroismi del sesto giorno.
Nasce così, a volte, la figura dell’eroe o, se preferite, del “coraggioso” al quale tutti son pronti a tributare onori che gli rendano imperitura fama.
Oggi più che mai, quanto scritto da Sciascia a proposito di come l’antimafia possa rappresentare uno strumento di potere, torna ad essere di grande attualità.
La figura dei campieri di Mori, è oggi sostituita da personaggi che, dopo aver fatto affari con la mafia, messi alle strette perché a rischio di arresto o per timore di dover pagare uno sgarro, assurgono al ruolo di ex vittime che con grande coraggio si ribellano all’aguzzino e si trasformano nell’emblema della lotta alla mafia.
Non di rado accade che soggetti del genere, continuino a mantenere rapporti e fare affari con “Cosa Nostra”.
E anche allorquando le vicende trovano risalto sulla stampa, la loro nuova veste di cavalieri senza macchia né paura, sembra uscirne immacolata.
Una spiegazione a tutto questo, possiamo trovarla nel fatto che difficilmente dopo aver creato “l’eroe”, coloro stessi che lo hanno creato potranno distruggerne l’immagine senza distruggere quella propria.
Questo è il grande limite di chi, nella lotta alla mafia, pur di utilizzare uno strumento utile, e forse a volte indispensabile, finisce con il generare il mostro.
Un’analogia la si potrebbe trovare con quelli che vengono comunemente definiti “pentiti di mafia”, se non fosse per il fatto che questi per entrare nel programma di protezione devono necessariamente, oltre a denunciare i delitti commessi tanto da loro quanto da altri, consegnare allo Stato i beni e gli averi illecitamente ottenuti grazie all’attività criminosa.
I professionisti dell’antimafia invece – con i loro bei colletti bianchi appena spuzzati di nefandezze e sangue – dopo essersi arricchiti grazie alle connivenze con quanto di meglio offre il panorama criminale, potranno continuare a godere dei loro beni e della recuperata rispettabilità.
Nessuno infatti andrà mai a controllare l’origine delle loro ricchezze, limitandosi semplicemente ad accettarne la collaborazione, quando non addirittura a tesserne le lodi per il coraggio mostrato nel tagliare il legame con il sistema mafioso.
Una bella differenza rispetto chi, per non sottostare alla mafia, ha messo in gioco la sua stessa vita.
Oggi leggiamo di vittime, che denunciano i loro estorsori, che raccontano di ricatti, minacce, avvertimenti.
Ma anche pentiti, che parlano di “messa a posto” di imprese, di appalti pilotati, di omicidi. Vediamo questi uomini, tanto gli uni quanto gli altri, protetti, blindati.
Trasformati spesso i primi, in “eroi dell’antimafia”, salvo poi leggere di “eroi” che taglieggiavano le aziende, o di “eroi” che, seppur sotto tutela, non esitavano a chiedere “favori” a “Cosa Nostra”. Come non rimanere sconcertati dinanzi tutto questo?
C’è una gran bella differenza tra colui che paga o ha pagato il pizzo, per la paura di fare la fine di Giordano, e coloro che invece hanno tratto benefici, vinto gare di appalto, ottenuto concessioni in maniera illegale o comunque poco trasparente e che in ultimo, forse, prendono le distanza da un sistema che li ha favoriti, denunciando la bassa manovalanza della mafia ed assurgendo al ruolo di eroi, di paladini, di simboli da proporre ed imitare.
Basterebbe ben poco, per provare a capire fino a che punto si sia trattato di sottomissione e non di affari in comune. Sarebbe sufficiente verificare le possibilità economiche di un soggetto o di un’azienda, prima e dopo aver avuto determinati rapporti, per sincerarsi della qualità del rapporto stesso.
Lo stesso Sciascia, nel suo “II giorno della civetta”, ci narra di come il capitano dei carabinieri sentì l’angustia in cui la legge lo costringeva a muoversi e vagheggiò un eccezionale potere che avrebbe consentito di estirpare il male per sempre.
Ma venutegli in mente le repressioni di Mori, il fascismo e ritrovata la misura delle proprie idee, si rese conto che anche da noi, come in America, bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell’inadempienza fiscale.
Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche; mettere le mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e delle piccole aziende; revisionare i catasti.
E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto (…), sarebbe meglio se si mettessero ad annusare intorno alle ville, le automobili fuoriserie, le mogli, le amanti di certi funzionari e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi, e tirarne il giusto senso”.
Quanta verità nel racconto di Sciascia…
Ci vuole poi così tanto a stabilire l’origine delle ricchezze?
È così difficile distinguere le vittime dai carnefici?
O la “patente” va data a chiunque, in cambio di una delazione più o meno veritiera, ne faccia richiesta?
Nelle more che qualcosa cambi – non si sa né come né ad opera di chi – un mondo datoriale e sindacale “”distratto”, continua a guardare solo agli affari propri…
Gian J. Morici
Un pò ermetico, ma efficace. Giusta istanza di chi, (se mi posso permettere ) come noi pensa che alcune istituzioni, come il sindacato, e i nostri rappresentanti politici oggi non rappresentano altro che se stessi, e cerchino in ogni modo di salvaguardare i propri interessi e della sua famiglia, fanno rimpiangere addirittura la “prima repubblica” ove questa sia finita. Dove almeno le briciole per terra le lasciavano raccogliere alle altre persone. Non è cambiato niente, anzi è peggiorato, si toglie il finanziamento pubblico con un referendum favorevole al 98%; gli Italiani hanno abolito il finanziamento pubblico loro si sono inventati il ” rimborso elettorale;” nel 1993 erano 200 lire a preferenza oggi per ogni voto con l’inflazione ne pigliano 5 euro ( ma che razza di inflazzione hanno ?. ) spendono 50 milioni e ne pretendono 128. Ma tra poco verrano a chiederci ulteriori sacrifici, e guarda caso a pagare saremo sempre i soliti. Io come tanti altri siamo stufi di continuare a pagare la gabella alla politica che non fa niente per tutti i cittadini, e condivido a pieno quello che ha detto ieri Beppe Grillo. “Togliamoci i soldi al potere, e dopo due legislature fuori! A casa a lavorare, e vedrete una politica diversa, più giusta più equa, dove il lavoro si chiamerà lavoro e non precarietà.