Per noi, per i nostri amici e lettori, per chi ha seguito almeno un po’ della lunga, estenuante battaglia di Salvatore Petrotto, non ha certo suscitato stupore la notizia dell’arresto di Montante, il presidente di Sicindustria (Sicindustria Sicilia) con lui passata alla testa dell’antimafia più sconciamente rigorosa (al punto da espellere, additandoli così al “braccio secolare” dei provvedimenti di prevenzione ed interdettivi, gli industriali rei di essere divenuti vittime dei ricatti della mafia per aver pagato il pizzo) (anticipazione del principio – si direbbe – del processo della “Trattativa”).
Che Montante fosse inquisito per “concorso esterno” era noto da mesi e forse da anni, Caso più unico che raro di un avviso di garanzia per reati di mafia anticipatore e non di poco, del provvedimento restrittivo. Un trattamento, quindi di tutto riguardo. Ma l’arresto, con la misura, sempre “di riguardo” degli arresti domiciliari, ha fatto venire fuori un’accusa che lascia perplessi anche noi: Montante avrebbe fatto a tempo a mettere in piedi un complicato reticolo di informazioni su quanto “bolliva in pentola” dell’Autorità Giudiziaria sul suo conto. Coinvolti funzionari, poliziotti, Carabinieri.
Anche se quanto si apprende dalla stampa circa la struttura del capo di imputazione lascia a chi non sia un giurinconsulto qualche dubbio, si tratta di un colossale patatrac dell’apparato di falsa repressione mafiosa, di organizzazione di un fanatismo ambiguo e catastrofico per la vita economica e sociale della Sicilia, la cui esistenza andavamo denunziando da anni, parlando specificamente della “mafia dell’antimafia” del “Terzo livello” costituito dai monopolisti dei pubblici servizi, dai “monnezzari”, gestori delle discariche in una Sicilia all’ultimo posto nella raccolta differenziata e nella quale gli impianti per la differenziata prendono fuoco con allarmante facilità (riuscimmo a “bucare” il silenzio stampa su questo fenomeno con un servizio sulla “Sicilia” della scorsa estate).
Ma oggi, proprio di fronte agli interrogativi ulteriori, che nascono per la storia della “rete protettiva” di informazioni (che stranamente non avrebbe avuto una propaggine nella stampa siciliana) la comparazione con altri casi, in cui la magistratura ha profuso i suoi nobili sforzi e quelli della polizia giudiziaria da essa diretta ed indirizzata per accertamenti di carattere “storiografico”, per “far fuori” Presidente di Regione ed uomini politici più o meno in vista, è d’obbligo.
E d’obbligo sono i rilievi di indiscutibile diversità di trattamento. E di altro.
Salvatore Petrotto è stato subissato di querele, per quanto ha detto ed ha scritto sul potere confindustriale dei “monnezzari” siciliani. Le sue denunce sono state messe nei cassetti, magari dagli stessi magistrati che lo rinviarono a giudizio per le sue “impertinenti” constatazioni.
Di fronte alla “rete protettiva” contestata a Montante, l’avvenimento secondo cui attraverso una “interpretazione estensiva” di un pezzo di conversazione in casa di un arrestato che è costato a Salvatore Cuffaro sette anni di galera, è cosa da ridere (se non si urla di rabbia).
A Montante auguriamo di potersi difendere come non è stato dato difendersi a molti altri dalle persecuzioni cui egli ha dato indiretto concorso. La sua vicenda non ci induce a reclamare la sua pelle, a chiedere che sia mandato al rogo. Ma dovrebbe indurre i fanatici che hanno applaudito ed applaudono ai roghi ed alla persecuzione dei sospetti perché sospettabili, a riflettere e cambiare atteggiamento.
C’è tutta un’impalcatura di malaffare politico-giudiziario di sfruttamento di un fanatismo antimafia artificialmente creato, come se della mafia non bastassero le realtà troppo a lungo dimenticate e radicate, che sta cadendo a pezzi, mostrando un marciume inverecondo. E tuttavia l’arroganza degli inquisitori e dei Famigli dell’Inquisizione non cessa e non si attenua.
Dell’Utri resti in carcere. Il Generale Mori si vuole che ci vada a concludere la sua vita di servitore del Paese. Questo sanno dirci questi sciagurati.
Non abbiamo da pavoneggiarci per aver parlato per primi. Non taceremo finchè questo letamaio non sarà stato spazzato via e con esso la mafia dell’antimafia.
Mauro Mellini