Enrico Ruggeri racconta su Radio 24 la storia del cantante degli Who
A settembre del 2016 a Milano c’è stato un grande concerto degli Who, la mitica band di My generation. Sul palco il settantunenne Pete Townshend suonava ancora divinamente, mulinellando con il suo lungo braccio sulle corde della chitarra. Lui è sempre lo stesso: pieno d’energia, intelligente, elegante, una presenza monumentale nel panorama del rock mondiale di tutti i tempi. Oggi, cinquant’anni dopo il primo successo con la canzone I can’t explain, Townshend è diventato quasi una sorta di padre onorario del rock. Lo dimostra il fatto che sempre più giovani partecipano ai loro concerti.
Come dice lui, è diventato “un vecchio saggio e stupido” che si può permettere di dire quello che gli pare e piace. Che è un po’ quello che ha sempre fatto, soprattutto quando si tratta di prendere le distanze dalla sua band con la quale ha sempre avuto un rapporto di odio e amore.
Figlio di due musicisti, ha iniziato a suonare la chitarra durante l’adolescenza. Il primo gruppo lo forma con il compagno di scuola John Entwistle. Durante il college incontra Roger Daltrey e si unisce al suo gruppo, i Detours. Ma in breve cambiano il nome ed è così che diventano gli Who, il gruppo simbolo di un’intera generazione, che, come nella loro canzone My Generation, scritta da Townshend, spera di morire prima di diventare vecchia. In realtà abbiamo visto come Townshend sia ancora vivo e vegeto, e per fortuna visto che nella sua lunga carriera ha scritto grandi canzoni.