Cosa succede nel tempo di un evento che riteniamo di ricordare perfettamente?
È scientificamente provato che nel tempo il ricordo di un evento sbiadisce, i particolari si dimenticano e di ciò che ha riempito intere giornate, non restano che poche ore di ricordo.
Fin quando con il passare degli anni anche quello sarà ridotto a poche immagini confuse, quasi un nulla.
Ma cosa accade quando a distanza di tantissimi anni il nostro ricordo si fa più lucido, più ricco di particolari che inizialmente non ricordavamo?
Se la narrazione di quel ricordo ha valore di testimonianza, le incongruenze ci porterebbero a ritenere falsa una delle due narrazioni, con tutte le conseguenze che ciò comporta.
La spiegazione, invece, potrebbe essere un’altra.
Talvolta accade che più tempo passa da un evento, più cerchiamo o siamo costretti a ricordarlo, più continuiamo a rielaborarne il ricordo e più la nostra memoria tende a deformare gli eventi e le immagini del passato, adattandole a quello che è il contesto attuale, influenzato da fattori esterni e da quello che noi riteniamo possa corrispondere all’idea che di quel passato ci siamo fatti, a tal punto da allontanarci dal fatto reale, stravolgendo l’evento originale.
Questa premessa è necessaria per provare a capire perché di un evento accaduto, a distanza di breve tempo ricordiamo più particolari, mentre molti anni dopo ne avremo quasi completamente cancellato la memoria, o viceversa del perché inizialmente avremo dato una scarna descrizione dei fatti e successivamente gli stessi si sono arricchiti di ulteriori dettagli dei quali non avevamo parlato in precedenza.
Un evento che ha molto colpito l’opinione pubblica è stato la strage di via D’Amelio, nella quale persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i componenti della scorta.
Quasi trent’anni di infiniti processi, depistaggi, clamore mediatico e tante incognite irrisolte a tutt’oggi.
È rileggendo vecchi verbali di sommarie informazioni e confrontandoli con testimonianze più recenti, che ci si accorge di quelle che appaiono come inspiegabili discrasie, tanto più se le dichiarazioni appartengono a magistrati che per decenni hanno seguito queste vicende giudiziarie.
Con questo primo articolo, vogliamo partire dalle dichiarazioni rese nel 1999, a distanza di sette anni dalla strage, da un magistrato sentito a Sommarie Informazioni Testimoniali, dinanzi i magistrati della Procura di Caltanissetta per confrontarle con quelle rese a distanza di quasi trent’anni dalla strage, in Commissione Antimafia regionale.
L’anticipazione di un confronto tra atti, che andremo ad analizzare più attentamente con gli articoli successivi, sviluppando anche le dichiarazioni rese in merito al dossier mafia-appalti, per cercare di capire come da una prima scarna ricostruzione del 1999, con Borsellino che sull’argomento parla con Roberto Scarpinato – allora sostituto procuratore presso il Tribunale di Palermo – una sola volta chiedendo che fine avesse fatto il procedimento d’indagine ed ottenendo in cambio un generico ragguaglio, si possa arrivare a quelle rese in Commissione Antimafia (2021) nelle quali il dossier viene citato più volte e da quel unico incontro tra Borsellino e Scarpinato e il “generico ragguaglio”, si sia arrivati a Borsellino che avrebbe saputo da Scarpinato che alcune posizioni di quell’indagine sarebbero state archiviate.
Le dichiarazioni di Scarpinato in Commissione Antimafia danno però anche una sonora smentita a quanti hanno sempre affermato che il giudice Borsellino non conoscesse e non fosse interessato a mafia-appalti, aprendo ad altri inquietanti interrogativi in merito al fatto che l’accelerazione della strage di via D’Amelio abbia visto Totò Riina costretto da soggetti esterni a “cosa nostra” a compierla immediatamente, entro il giorno dopo, in danno degli interessi di “cosa nostra” stessa.
E da questo punto in poi, le domande sono tantissime.
Perché se il 41 bis e l’ergastolo ostativo, introdotti nel cosiddetto ‘decreto Falcone’, rischiavano di non essere convertiti in legge – così come narra Scarpinato – Riina compie un’operazione (strage di via D’Amelio) assolutamente suicida e controproducente per l’interesse dell’organizzazione?
La spiegazione ce la dà lo stesso Scarpinato nel sostenere che Riina aveva contatti con queste entità esterne, i soliti famigerati Servizi Segreti.
Da un lato, dunque, i Servizi Segreti trattano con Vito Ciancimino (quindi con Provenzano) per alleggerire il carcere duro e cancellare l’ergastolo ostativo; dall’altro i Servizi Segreti obbligano Riina a portare a termine la strage, facendo sì che il cosiddetto ‘decreto Falcone’ diventi legge.
E che i Servizi Segreti possano essere deviati è un conto (tutto da vedere) ma qui di “deviazioni” ce ne sono tante, a cominciare da una trattativa in direzione di Provenzano per arrivare a Riina, quando il presunto collegamento con Riina c’era già per portare e termine la strage.
“In Parlamento – dichiara Scarpinato in Commissione Antimafia – si era scatenata una dialettica molto forte ed era prevalente, come risulta dalle testimonianze in vari processi, una maggioranza garantista che era contraria a convertire in legge quel decreto che scadeva il 7 agosto.
Ci hanno detto vari collaboratori che Calò aveva raccomandato a tutti di non muoversi e stare fermi perché era altamente probabile che il decreto non venisse convertito.
Cosa fa Riina?
Riina decide che non può aspettare 19 giorni che ci sono dal 19 luglio al 7 agosto e che la strage doveva essere eseguita prima.
A quel punto riferisce Cangemi, gli altri restano estremamente perplessi.
Ganci si apparta con Riina per parlare, Riina non riesce a dare spiegazioni che siano coerenti con gli interessi di cosa nostra, taglia corto, dice ‘mi assumo la responsabilità’, Ganci esce da quell’incontro con Riina e dice ‘questo è pazzo, porterà alla rovina l’organizzazione’.
Cangemi ha un dialogo con Ganci e conclude a quel punto abbiamo capito che lui aveva preso un impegno con soggetti esterni e che stava sacrificando gli interessi di cosa nostra”.
Forse inconsapevolmente, è ancora una volta Scarpinato a darci una risposta.
Una risposta che riguarderebbe la famosa Agenda Rossa di Borsellino che avrebbe contenuto le sue scoperte in merito ai pezzi deviati dello Stato, ovvero quei carabinieri che trattavano con “cosa nostra”.
Tratto dall’audizione di Scarpinato in Commissione Antimafia:
“FAVA. Aver fatto delle Procure della Repubblica terre di conquista. Procuratore, la ringraziamo e però c’è una domanda che volevo farle perché è quella che ci facciamo da 29 anni. Arriva una sollecitazione perché Borsellino va ammazzato presto, subito. Presto può essere anche due mesi e mezzo dopo la morte di Falcone. Presto può essere anche il 10 agosto, il 12 agosto, e invece 19 luglio. Che cosa sarebbe accaduto tra il 19 luglio e il 7 agosto, qual è l’evento prima del quale andava consumato tutto? C’era qualcosa?
SCARPINATO, procuratore generale presso la Corte d’Appello di Palermo. Allora, Borsellino, secondo me, quello che avrebbe fatto è che sarebbe andato a Caltanissetta, si sarebbe preso l’agenda rossa – come aveva anticipato nel famoso discorso alla biblioteca, dove ha detto ‘io non posso dirvi perché sono un magistrato, riferirò ai magistrati’ – e avrebbe cominciato a mettere uno dietro l’altro le cose che aveva capito. E lì scoppiava la bomba.
FAVA. Quindi, l’urgenza era Borsellino.
SCARPINATO, procuratore generale presso la Corte d’Appello di Palermo. L’urgenza era questa, perché se lui andava a Caltanissetta, si portava l’agenda rossa e cominciava a mettere… scoppiava la bomba. Scoppiava la bomba, perché aveva capito tante di quelle cose…”
E la bomba scoppiò!
Se come sostiene Scarpinato, Borsellino aveva scoperto nei carabinieri i pezzi deviati dello Stato, cosa doveva andare a fare a Caltanissetta, sede deputata per le indagini che riguardano i magistrati di Palermo?
Gian J. Morici