L’arresto dell’ex presidente di Sicindustria, accusato di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione di esponenti delle forze dell’ordine, apre scenari che – seppur di secondo piano rispetto i gravi reati riportati nell’ordinanza di custodia cautelare – dovrebbero obbligare tutti gli operatori del mondo dell’informazione a fare una seria valutazione su come il rituale servilismo di taluni giornalisti abbiano indotto i potenti di turno a ritenere che l’abituale meretricio di alcuni debba essere generalizzato alla totalità della categoria e nel caso in cui non se ne trovi la disponibilità, rimane comunque sempre aperta la via del dossieraggio o dello strumento di minaccia da ricercare tra le maglie del diritto e della giurisprudenza, trasformata in utile strumento d’intimidazione.
È sufficiente leggere qualche pagina dell’ordinanza per rendersi conto di come i nomi di giornalisti, di direttori e di testate giornalistiche vengano legati alla necessità di Montante di avere il controllo dell’informazione. Finanziamenti in nero, consigli sulla necessità di “ungere” gli organi stampa, richieste di finanziamenti o favori da parte di giornalisti, hanno finito con l’arricchire le 2.567 pagine d’ordinanza sulla “rete illegale” messa in piedi da Montante per spiare l’indagine che lo riguardava.
E laddove non si comprava il favore, ecco pronto il dossier custodito nell’archivio segreto dell’ex presidente di Sicindustria, da usare al momento opportuno. Uno spaccato sulla considerazione che si ha del cosiddetto “quarto potere” che non è diversa da quella che si ha del cagnolino di casa al quale si dà l’osso. Colpa di Montante&C, o di un diffuso sistema di accettazione o richiesta di forme tangentizie per placare le ire (estorsive) di una certa stampa?
E se questo è uno degli aspetti che riguardano la già macilenta credibilità della categoria, il secondo sul quale soffermarsi è quello della divulgazione di notizie oggetto d’indagini. Scrive infatti nell’ordinanza il Giudice per le indagini preliminari, dott.ssa Maria Carmela Giannazzo, rispetto le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, riportate dalla stampa:
“Inutile sottolineare come tale inopinata fuga di notizie abbia reso certamente più difficoltose le indagini che si stavano conducendo e che proprio in quel periodo, dopo che si era avuto positivo riscontro alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sulla scorta dei primi accertamenti delegati alla polizia giudiziaria, si stavano via via approfondendo attraverso attività d’intercettazione e di sommarie informazioni testimoniali che si voleva inizialmente mirate nei confronti di coloro che, proprio all’esito degli approfondimenti disposti, potevano dirsi a conoscenza delle vicende che occorreva certosinamente riscontrare.
Attività che, secondo quanto meglio si dirà nel prosieguo, si sono poi rese quasi proibitive per le contromisure che il MONTANTE, reso edotto attraverso canali intranei alle forze di polizia ed ai Servizi di Informazione e Sicurezza delle modalità attraverso cui questo Ufficio stava svolgendo le indagini, ha via via adottato onde impedire che gli accertamenti disposti si svolgessero seguendo il loro naturale corso.”
Orbene, un conto è l’inchiesta giornalistica, un altro la fuga di notizie, lo scoop e il danno che ne consegue. Fermo restando il sacrosanto diritto del giornalista a diffondere le notizie di cui ha conoscenza, facendo anche ricorso al segreto professionale per tutelarne la fonte, è fin troppo evidente come chi opera nel mondo dell’informazione ancor prima di accertarsi di aver collegato il proprio computer, dovrebbe accertarsi di aver collegato il cervello, valutando i danni che la diffusione di talune notizie può causare.
Ma gli autori degli scoop a questo non badano e facendo affidamento al fatto che Cesare è Cesare e la suburra plaude, continuano ad ostacolare – si spera inconsapevolmente – l’attività di quanti hanno il compito di vigilare sul mantenimento dell’ordine sociale e sul rispetto della legalità.
Ma se un conto sono gli imbonitori di cementificati cervelli di onanisti mentali compulsivi, altrettanto non può dirsi dei protagonisti delle fughe di notizie. Verranno avviate indagini per scoprire a chi si devono tali “brillanti” operazioni? O non accadrà nulla, come quando venne data alla stampa la notizia che l’ex sindaco di Castelvetrano operava per conto del Sisde nel tentativo di catturare Matteo Messina Denaro?
All’epoca, la fuga di notizie, rispetto la quale clamorosamente pare che nessuno ritenne doveroso avviare un’indagine, probabilmente fu causa della mancata cattura del boss latitante, dopo che i giornali di mezzo mondo titolarono la storia del sindaco 007 (Antonio Vaccarino) che con lo pseudonimo di Svetonio che intratteneva da quattro anni una corrispondenza epistolare con il super latitante. Quattro anni di “pizzini”, puntualmente analizzati dalla Direzione Sisde, per arrivare alla cattura del boss o alla sua resa. Quando il Sisde, nel 2007, trasferì alla magistratura l’intero carteggio, qualcuno rese nota alla stampa l’operazione Svetonio-Servizi segreti…
Questa volta in senso negativo, come disse Humphrey Bogart alias Ed Hutchinson, giornalista nel film “L’ultima minaccia”: “È la stampa, bellezza, la stampa. E tu non ci puoi fare niente… niente!”
Acta est fabula! Cesare è Cesare e la suburra plaude. E il boss rimase latitante…
Gian J. Morici