Intervento della Presidente della Camera dei deputati, Laura Boldrini:
“Saluto e ringrazio innanzitutto gli autori: Valerio Calzolaio, oggi scrittore, ma che alla Camera è stato per quattro legislature ed è stato anche Sottosegretario all’Ambiente; e il professor Telmo Pievani, docente all’Università di Padova. Con loro discuteranno del libro l’onorevole Arturo Scotto, capogruppo di Sinistra Italiana qui a Montecitorio, e il professor Andrea Riccardi, già Ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione. Saluto inoltre i deputati presenti e tutti gli intervenuti.
Ho accettato molto volentieri di presentare questo libro perché rappresenta un aiuto al “pensiero lungo” di cui ha bisogno la politica su un tema spesso affrontato “senza pensiero”, o ancor peggio sulla base del sentimento della paura.
“Libertà di migrare” ci offre una prospettiva che nasce da molto, molto lontano, milioni di anni fa.
Il libro ci dice che “le migrazioni sono un tratto costitutivo dell’identità umana”: dunque non sempre e non solo un’emergenza, come si ha la tendenza a dire nel nostro Paese. Ci dice che “l’homo sapiens si è evoluto grazie alle migrazioni” e sottolinea che “chiunque abiti oggi in Europa ha origini africane e ha avuto un antenato nero”: una rivelazione scientifica che potrebbe provocare un certo sconforto tra certi politici i quali ritengono che mischiarsi vuol dire perdere la propria cultura e la propria identità. Dalla ricerca scientifica si evince invece il contrario: che l’evoluzione nasce dalla mescolanza, dal confronto.
“Libertà di migrare”, ma anche diritto di restare. La libertà esiste nel momento in cui puoi rimanere. Ma sappiamo che non sempre la migrazione è una scelta. Ha volte rimanere è un privilegio che non tutti possono vivere. Lo sanno bene i 65 milioni di rifugiati, al mondo, che non hanno il diritto di restare.
Si scappa, non si emigra, quando si fugge dalle guerre e dalla violenza del terrorismo, dalla violazione dei propri diritti. Chi fugge dice: noi vorremmo non disturbare nessuno, ma dateci la possibilità di stare a casa nostra in sicurezza.
E poi si va via anche per altri motivi, per cercare migliori condizioni di vita, per offrire alla propria famiglia una diversa prospettiva.
Sono due condizioni che come italiani noi dovremmo conoscere bene, perché in passato le abbiamo vissute entrambe. Il fascismo costrinse molti, anche figure importanti, ad andarsene del Paese. E poi molti dei nostri parenti se ne sono andati in passato perché non c’era di che vivere. Purtroppo anche oggi molti giovani se ne vanno perché non trovano nel nostro Paese la possibilità di avere una carriera,una prospettiva.
Dunque noi come Paese abbiamo vissuto e continuiamo a vivere la realtà della migrazione. Lo sappiamo anche perché oggi siamo oggetto discriminato delle migrazioni. Vedete cosa è successo con la Brexit: quanti nostri connazionali in Inghilterra si sentono sprovvisti di certezze, più vulnerabili? E si sentono più precari di prima anche i frontalieri italiani che vanno in Svizzera a lavorare, dopo il referendum che c’è stato. Stessa apprensione che nelle ultime ore si avverte le comunità straniere che vivono negli USA.
La ricetta che ogni tanto ascoltiamo è che “ognuno se ne deve stare a casa propria”. Ma è possibile oggi, in un tempo globale come il nostro, mettere in atto la ricetta “ognuno a casa sua” quando sono oltre 244 milioni le persone migranti secondo le stime delle Nazioni Unite? Eppure questa ricetta in politica paga, funziona.
Ma perché la politica usa una ricetta del genere, che noi sappiamo essere impraticabile? Penso che lo faccia perché non ha idee di come gestire questo fenomeno. E in assenza di idee, di prospettive, di ‘visione’, si affida ad uno slogan: semplice , ma impraticabile; appetibile, ma inverosimile. “Ognuno a casa propria”.
Nel clima che viviamo, anche i diritti consolidati, che fanno parte della cultura giuridica, vengono rimessi in discussione. Chi avrebbe mai pensato che il diritto d’asilo, uno dei diritti fondativi della civiltà europea, venisse rimesso in discussione? Eppure è quello che sta accadendo. Perché aver fatto l’accordo con la Turchia – per bloccare il flusso dei richiedenti asilo e dei migranti che arrivavano attraverso le isole greche su su fino al cuore dell’Europa – vuol dire aver perso parte della propria anima, della propria essenza, e molta della propria credibilità agli occhi del mondo. Come facciamo oggi a redarguire un Paese che fa respingimento, un Paese che non rispetta la Convenzione di Ginevra del 1951, quando noi – continente dei diritti umani, cuore della civiltà giuridica, luogo dove è nata la Convenzione di Ginevra – diamo in appalto il diritto di asilo ad un Paese, la Turchia, che non ha neanche il quadro giuridico per poterlo fare: non avendo sottoscritto il Protocollo di New York del 1967, riconosce rifugiati solo coloro che vengono dall’Europa.
Un paese, la Turchia, dove oggi anche i diritti del popolo turco vengono messi in discussione. Perché non ci può sfuggire quello che sta avvenendo dopo il tentativo di colpo di Stato che tutti noi abbiamo fortemente condannato. Si è parlato prima di golpe militare. Oggi io mi sento di parlare di ‘golpe civile’: perché in una democrazia non è concepibile che i deputati dell’opposizione vengano arrestati. Tanto più perché quei deputati rappresentano una minoranza, e sono il terzo partito del Paese. Questo arriva dopo una serie di azioni che non espressione di uno Stato di diritto: arrestare i magistrati, spostare i Prefetti perché considerati scomodi, arrestare i giornalisti, licenziare i professori universitari, vietare l’espatrio dei dipendenti pubblici. Come fa tutto questo a lasciarci indifferenti? Non possiamo stare ad occhi bassi perché abbiamo firmato un accordo e ci siamo consegnati mani e piedi alla Turchia. Qui è il concetto stesso di Europa che viene rimesso in discussione.
Sento il dovere, per la mia storia e per il ruolo che rivesto oggi, di dire che quanto accade deve essere un campanello d’allarme fortissimo per tutti noi. Dobbiamo riconsiderare certe scelte. Perché se oggi questo accade ai danni dei cittadini turchi, cosa può succedere quando si parla di rifugiati di altri Paesi? Questo è il punto. Ritengo che su questo si debba fare un approfondimento, una seria riflessione, e si debbano mandare messaggi molto chiari. Noi abbiamo fatto degli errori con la Turchia. Ma oggi dobbiamo evitare di essere messi all’angolo dalla Turchia: cercare una collaborazione che consenta in qualche modo di restringere l’azione arbitraria che è stata messa in atto negli ultimi tempi, e sempre nell’ottica dell’apertura al dialogo. Noi abbiamo anche ricevuto, pochi giorni fa, una delegazione di deputati turchi qui alla Camera, che sono andati alla Commissione Esteri, ed in quella sede è stata espressa molta preoccupazione anche dal presidente della Commissione. Penso che sia dovere dell’istituzione continuare in questo senso: sostenere le forze democratiche e ribadire con forza tutto il proprio dissenso rispetto a quanto sta accadendo oggi in quel Paese.“