Quando alle 16 e 48 di questo uggioso pomeriggio domenicale al Massimino termina il match tra Catania e Torino, valido per il 32° turno del massimo torneo di calcio, conclusosi con la sconfitta della squadra siciliana per 1 a 2, sfilano tristemente i titoli di coda della fiaba del Catania di Pulvirenti in serie A, durata otto bellissimi anni.
Su questa ventesima sconfitta del Catania, non c’è molto da dire, rispecchia il cliché di un po’ tutto il campionato: ancora una gara schizofrenica, una partita cominciata bene e finita malissimo, in cui si è confermata la notevolissima fragilità psicologica che ha contrassegnato il torneo degli etnei. Stavolta, però, a differenza delle altre partite il Catania era stato baciato dalla fortuna, dopo neanche due minuti Bergessio era andato in gol al primissimo tiro della partita, grazie anche a una provvidenziale scivolata di Moretti che mette l’attaccante argentino nelle migliori condizioni di battere a rete senza fallire. Poi i rossazzurri si adagiano sul vantaggio, non mordono più. La partita è scialba perché neanche il Torino fa più di tanto. Ma è bastato un minimo sforzo ai granata per penetrare ormai a 10’ dalla fine la permeabilissima difesa etnea con Farnerude prima e Immobile poi. Il triplice fischio finale dell’arbitro Rocchi di Firenze si confonde con la bordata assordante di fischi dei tifosi etnei, che fino al gol del pari torinista avevano sostenuto indefessamente la squadra, mettendo da parte contestazioni e polemiche, ponendo il suggello a una retrocessione di cui si attende solo la conferma matematica. Anche se, e questo è un dovere, bisogna completare dignitosamente il campionato, soprattutto per rispetto dei tifosi che hanno sempre sostenuto questa squadra.
In un solo istante col pensiero ci ritroviamo, malinconicamente, catapultati al gol di Umberto Del Core contro l’Albinoleffe che fece esplodere il vecchio catino del Cibali per aver riportato i rossazzurri in serie A dopo 23 lunghissimi anni trascorsi tra il purgatorio e l’inferno dell’italico orbe calcistico. Vediamo ancora il piccolo Umbertino volare impazzito di gioia, un po’ come il Tardelli del mondiale, incontro ai tifosi, in una corsa che sembrava non dovesse avere mai fine.
Le salvezze tante sofferte quante godute dei primi due anni di serie A. Lo spareggio all’ultima giornata con il Chievo nel campo di Bologna, dopo il calvario di un intero girone di ritorno giocato in campo neutro e a porte chiuse a causa degli incidenti di quel nefasto due febbraio 2007 da cui scaturirono la morte dell’Ispettore Raciti. Quindi l’anno dopo il pareggio con una Roma, che inseguiva ancora lo scudetto, a 5’ dalla fine con gol di Martinez che impattava quello di Vucinic, tirandoci per i capelli fuori dalla serie B. L’indimenticabile 4 a 0 del Catania di Zenga al Barbera di Palermo inflitto agli eterni rivali: i cugini rosanero. Lo splendido girone di ritorno del Catania di Siniša Mihajlović. Il più bel Catania di sempre, quello di Montella, denominato il “piccolo Barcellona” per il calcio champagne che giocava. Quindi la squadra più forte, quella dei record, il Catania dell’anno scorso, che si è guadagnata un impensabile quanto fantastico ottavo posto. Già una formazione che annoverava lo stesso allenatore e buona parte dei giocatori di questa sfortunata stagione. Ci sarebbero altri eventi da ricordare come la vittoria sull’Inter per 3 a 1, il trionfo a Torino contro la Juventus per 2 a 1, e ancora… Ma basta con l’amarcord, ci si fa male, adesso bisogna fare i conti con la realtà: tirare le somme e rimboccarsi le maniche.
Di chi sono le colpe di questa catastrofica e maledetta stagione: dirigenza, calciatori e allenatore. Si salva solo la tifoseria che ha fatto sempre la sua parte. Non potrebbe essere altrimenti, la colpa in questi casi non è mai di uno solo. La dirigenza per aver sconvolto una struttura societaria che per sette anni aveva fatto bene, in primis con la soppressione della figura di un amministratore delegato che oltre a curare gli interessi della società faceva da trait d’union con la squadra, quindi per non essere intervenuta nel mercato di gennaio nel reparto maggiormente carente: l’attacco. I calciatori e l’allenatore che pur essendo quelli della trionfale passata stagione hanno accusato inspiegabilmente un crollo psicologico tecnico e tattico verticale. Maran che in serata è stato per la seconda volta esonerato in questo torneo, come nelle peggiori tradizioni del calcio nostrano, – la conduzione tecnica è stata affidata a Maurizio Pellegrino – paga ancora, quindi, per colpe non solo sue e in un momento in cui il cambio di panchina appare ai più senza alcun significato, se non, forse, nell’intento di condurre a termine con dignità e orgoglio quest’ultimo scorcio di campionato. Di certo l’esonero del tecnico trentino sancisce la definitiva incrinatura nel rapporto con la dirigenza, mettendo in chiaro che Maran non è parte del progetto che il prossimo anno dovrà tentare di riportare il Catania nella massima serie.
Il presidente Pulvirenti ha recentemente dichiarato che in caso di retrocessione avrebbe allestito una squadra in grado di risalire prontamente nella massima serie. Sarà in grado di farlo, facendo magari tesoro degli errori di quest’anno? Noi catanesi e siciliani tutti facciamo il tifo per lui! Innanzitutto perché vogliamo rivivere ancora questa fiaba e siamo pronti a ricominciare daccapo. Poi perché il Catania in serie A è un patrimonio oltre che sportivo, economico e sociale da salvaguardare per l’intera isola, che non si deve disperdere. Assolutamente!