Globalizzazione e criminalità organizzata.
Il 29-31 Ottobre 2011 allo Xijiao Hotel di Pechino (Cina), si era tenuta la “Terza Sessione del Forum internazionale sulla criminalità e diritto penale nell’era globale”, che aveva visto la partecipazione delle delegazioni provenienti da 17 diversi paesi.
Nella circostanza, a far della delegazione italiana, Antonio Evangelista che ha diretto le indagini sui crimini di guerra e guidato la polizia criminale nei Balcani, ed autore dei libri “La torre dei crani” e “Madrasse”.
Esperti di criminologia e diritto penale, provenienti da Cina, Francia, Germania, Italia, America, Russia, Giappone e Spagna, organizzarono il Forum internazionale sulla criminalità e diritto penale nell’era globale (al quale hanno partecipato delegazioni da altri 9 stati, tra cui Regno Unito, Canada, Corea, Grecia, Brasile, India , Pakistan, Ungheria e Polonia), al fine di studiare l’applicazione di misure atte a proteggere e salvaguardare i diritti umani e promuovere una riforma penale internazionale.
Un forum internazionale a riprova del fatto che oggi non possiamo più ignorare che se la globalizzazione ha creato nuove possibilità per l’imprenditoria, allo stesso modo ha offerto nuovi spazi alla criminalità organizzata che da fenomeno legato ai territori si è ben presto trasformata in organizzazione in grado di operare sui mercati transazionali, approfittando di disomogeneità legislative tra le varie nazioni e della capacità delle singole organizzazioni territoriali di creare legami con altre organizzazioni operanti in altri paesi.
Una vera holding del crimine che conta su un esercito di uomini sparsi a tutte le latitudini del mondo.
Tanto per citare alcuni esempi, peraltro molto datati ma che rendono bene l’idea della struttura criminale:
– circa 50 Triadi cinesi – delle quali non si conosce il numero degli affiliati – che si sono ormai ramificate nel mondo e risultano tra le prime organizzazioni transnazionali impegnate nel traffico di stupefacenti;
– oltre 17.000 individui legati alle mafie italiane;
– circa 90.000 affiliati alle 3.000 organizzazioni giapponesi riconducibili alla Yakuza o Japanese Boryokudan;
– 35.000 soggetti affiliati agli oltre 8.000 gruppi che operano in territorio russo.
Un fenomeno per contrastare il quale si rende necessario approntare modelli di lotta di carattere globale.
Quella che fu una trovata degli americani messa in atto durante la guerra in Iraq, quando vennero riprodotte carte da gioco con i nomi e le fotografie dei 52 comandanti del regime di Saddam Hussein più ricercati, visto il successo ottenuto, è stata riproposta dall’Institute for Russian Research che, ai volti dei comandanti di Saddam, ha sostituito quelli degli affiliati alla mafia russa.
Le carte da gioco con i volti dei mafiosi russi, sono state prodotte appositamente per sensibilizzare le forze dell’ordine, i legislatori, e i media, per far comprendere l’importanza del ruolo che la mafia russa ha negli USA, così come nel resto del mondo.
Il mazzo di carte, che comprende soggetti conosciuti tanto alle forze dell’ordine quanto all’opinione pubblica, ma anche soggetti meno noti a quest’ultima, sarà aggiornato e ristampato ogni anno.
Per esempio, l’asso di quadri descrive Semion Mogilevich, ex leader del gruppo criminale organizzato Solntsevo, una delle bande più infami della Russia, che compare anche nella lista dell’FBI dei dieci più pericolosi criminali.
Tevfik Arifas, la regina dei club, un ex funzionario del Ministero del commercio sovietico che si è trasferito negli Stati Uniti per diventare un imprenditore nel settore delle costruzioni edili, che sarebbe a capo di una rete di riciclaggio di denaro coinvolta nel finanziamento di gruppi terroristici in Medio Oriente e l’ex Unione Sovietica.
Non mancano i trafficanti di armi come il noto mafioso russo-americano Monya Elson, e altri.
Oltre il 50% dei soggetti ritratti nelle carte si trova negli Stati Uniti, mentre circa il 15% risiederebbe in Spagna.
Particolare curioso, il fatto che il mazzo sia composto da 48 carte e non da 52, visto che mancano i 6. A spiegarne la ragione sono gli editori che sottolineano come un “sei” sia uno dei peggiori insulti nella mafia russa e quindi non si sono volute fare discriminazioni di sorta.
Gian J. Morici














































