La vicenda che tiene banco, in questi giorni, su tutte le testate giornalistiche è quella dei due marò accusati dal governo indiano di avere ucciso due pescatori sparando da bordo della petroliera su cui si trovavano per proteggere la stessa dagli attacchi dei pirati.
La vicenda inizia quando la petroliera italiana “Enrica Lexi” transita da Singapore verso l’Egitto. A bordo della stessa si trovano due Marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone i quali, secondo l’accusa, avrebbero sparato ad un peschereccio con a bordo due pescatori indiani (scambiandoli per pirati) che sono rimasti uccisi.
Al di là del merito della vicenda ciò che noi cercheremo di capire è se i suddetti marò debbano essere giudicati dalle autorità indiane o da quelle italiane.
La questione rientrerebbe sotto la giuridìsdizione indiana in due soli casi: se il fatto sia avvenuto in acque territoriali indiane cioè entro i 12 miglia dalla costa o se il fatto sia avvenuto in alto mare o nella zona contigua e sia assimilabile con la fattispecie di pirateria il tutto secondo quando stabilisce la Convention for the soppressione of unlawful acts against the safety of marittime navigation adottata nel 2005 dall’ONU, cosiddetta convenzione SUA.
Dalle notizie apprese, invece, il fatto sarebbe avvenuto a 22-23 miglia dalla costa per cui al di fuori delle acque territoriali.
In questo caso la giurisdizione non sarebbe indiana poiché l’art. 33 stabilisce che l’estensione di sovranità dello Stato costiero è funzionale solo al fine di prevenire le violazioni delle proprie leggi e regolamenti doganali, fiscali, sanitari e di immigrazione entro il suo territorio o mare territoriale e punire le violazioni delle leggi e regolamenti di cui sopra commessi nel proprio territorio o mare territoriale.
Peraltro, va ricordato che secondo il diritto internazionale, gli organi dello Stato sono immuni dalla giurisdizione penale dello Stato straniero quando svolgono attività iure imperii per cui la giurisdizione sui fatti commessi dai due marò spetta allo Stato di nazionalità. Se a questo si aggiunge che l’evento è accaduto in acque internazionali il difetto di giurisdizione delle autorità indiane è ancora più evidente.
L’art. 27 della Convenzione sul Diritto del Mare di Montego Bay del 1982, in materia di giurisdizione penale nelle acque territoriali stabilisce che lo Stato costiero non dovrebbe esercitare la propria giurisdizione penale a bordo di una nave straniera in transito nel mare territoriale, al fine di procedere ad arresti o condurre indagini connesse con reati commessi a bordo durante il passaggio salvo che le conseguenze del reato non si estendano allo Stato costiero o se il reato è di tal natura da disturbare la pace del paese o il buon ordine nel mare territoriale.
L’India esercita la giurisdizione fondando la sue ragioni sulla presunzione che i fatti si siano verificati all’interno delle acque territoriali ma anche in questo caso avrebbe torto ai sensi di quanto stabilito dal diritto internazionale sulla immunità dello Stato straniero e dei suoi organi.
Anche una ipotesi di giurisdizione internazionale non sarebbe perseguibile poiché la Corte Internazionale di Giustizia può agire solo avendo come soggetti gli Stati mentre il Tribunale Penale Internazionale solo in casi di genocidio, crimini di guerra o crimini contro l’umanità.
Ci potrebbe essere l’ipotesi del Tribunale Internazionale del Diritto del Mare ma il suo parere sarebbe vincolante soltanto nell’ipotesi in cui le parti ne avessero accettato preventivamente la giurisdizione.
Il fatto è che la vicenda va risolta prima che dal punto di vista giuridico, dal punto di vista diplomatico ed in particolare occorre un intervento forte della Unione Europea per indurre l’India al rispetto delle norme di diritto internazionale ma occorre anche che gli Stati, tutti gli Stati, affrontino in maniera radicale il problema della pirateria.
Cordialmente
Avv. Giuseppe Aiello
cell. 3389622713