Testo e foto di Diego Romeo
“Non lasciate passare un giorno senza che ci sia un sorriso”. La frase di Madre Teresa di Calcutta Sergio D’Antoni la fa risuonare nei giardinetti di Porta di Ponte e invita i fans di Mariella Lo Bello a chiedere il voto con un sorriso. “E non vuole essere soltanto un gesto di piccola unità sindacale -precisa D’Antoni – visto che anch’io sono stato sindacalista per tanti anni”. Un bel gesto quello di D’Antoni, credibile e sincero ma che getta ancor più nello scompiglio gli osservatori politici e i cronisti convenuti a Porta di Ponte. “Ma Benedetto Adragna dov’è? “, l’interrogativo percorre come un fremito la folla che si assiepa nei giardinetti, sfiora Angelo Capodicasa, Angelo Lauricella, Epifanio Bellini, il presidente del Pasolini, Maurizio Masone, sua sorella la direttrice della Biblioteca comunale. Nessuno sa nulla e molti dicono di non aver visto lo spot-tv siglato “Partito Democratico” dove Adragna alcuni giorni prima si era esibito con “distacco sovrano” sui candidati a sindaco di Agrigento. Nessuno ancora sapeva che Agrigento fosse diventata una Repubblica sovrana e che Adragna ne fosse il presidente. E dire che in quello spot il sen. Adragna era stato aiutato dal suo collaboratore politico Gigi Restivo, ex sindaco di Racalmuto e uno dei cosiddetti “ragazzi di Regalpetra”. Quei “ragazzi” che si potrebbero chiamare “i Peter Pan di Regalpetra” e che si sono visti passare sotto il naso, malgrado tutto, l’imperante mafia racalmutese e vivono tuttora negli interstizi televisivi tra le notifiche antimafia che hanno sollecitato Francesco La Licata a chiedersi su “La Stampa” come mai non se ne fosse accorto” il periodico «Malgrado tutto» (il giornale «adottato» e protetto dallo scrittore), che non ha saputo o voluto fare tesoro delle terribile esperienza della mattanza mafiosa e della successiva conoscenza del fenomeno scaturita dalle rivelazioni dei pentiti.” Nonostante l’assenza di Adragna e comunque vadano le cose l’afflato che D’Antoni mette nel suo discorso di appoggio a Mariella Lo Bello appare una smentita a tutte le supposizioni che continuano ad alimentare i cronisti e non disturbano affatto un pover’uomo di magrebino che mentre parla D’Antoni invoca Mariella Lo Bello di dargli aiuto. Si avvicina al palco, D’Antoni si interrompe e lo ascolta e si capisce che il pover’uomo è un pò ubriaco e che la richiesta di aiuto è vera come poi confermerà la stessa Lo Bello. “Si, Mohammed lo conosco, lo abbiamo aiutato tante altre volte”. Dopo il segretario Pistone e D’Antoni la parola passa a Fatima, candidata (del Marocco) in lista, ad Ausilia Eccelso, anche lei candidata, e poi infine a Mariella Lo Bello. Come il vescovo Montenegro, la Lo Bello ripete (e tutti non possiamo che ripetere) “Agrigento deve rialzarsi e deve alzarsi dagli ultimi posti ai quali è stata condannata. E’ accaduto che siamo stati traditi da programmi che non sono stati verificati. Non vogliamo fare una campagna elettorale con i veleni ma vogliamo che questa città creda nella possibilità di un suo riscatto, risalire da quegli ultimi posti che significano imprese che possano vivere, significa lavoro, significa reddito. La gente delle periferie non dovrà più dire “vado ad Agrigento” per significare “vado in centro”. I campetti di Villaggio Peruzzo dovranno essere usufruiti non a pagamento, abbiamo tanto da fare ma con l’aiuto di tutti sapendo che il nostro programma avrà le verifiche, avrà la partecipazione e seguirà un percorso fra i tanti bisogni che devono trovare una risposta, fra le tante solitudini che dovranno trovare compagnia, con servizi sociali che devono trovarsi vicino agli ultimi”.
Inevitabili gli applausi e gli entusiasmi di un popolo che dovunque vai continua ad essere speranzoso. E dovunque con tutte le gradazioni del caso: furbesca, ingenua o ragionevole.
La folla di Porta di Ponte si sperde pian piano ma ci si continua a chiedere Adragna dov’è? Permane un solo dubbio: sta preparando il trolley o le comuni valigie?
(Fonte: Grandangolo)
Sig. Direttore, al di là di ogni considerazione sulle valutazioni di tipo politico che il sig. Romeo fa sulla mia persona, sulle mie collaborazioni politiche e giornalistiche, vorrei invitarla a leggere, e se lo ritiene opportuno, pubblicare quanto ha scritto il giornalista Francesco La Licata sul quotidiano “La stampa”: esattamente il contrario di quanto afferma il suo collaboratore.
Ecco la citazione corretta tratta dall’articolo pubblicato da La Licata su “La stampa” lo scorso 24 marzo: “Oggi l’assenza della ragione sta interamente in quell’apatia, denunciata da voci isolate come i redattori del periodico “Malgrado tutto” (il giornale adottato e “protetto” dallo scrittore”), che non saputo o voluto fare tesoro della terribile esperienza della mattanza mafiosa e della successiva conoscenza del fenomeno scaturita dalle rivelazioni dei pentiti”.
Liberissimo Romeo ci criticare la mia persona, un pò meno di stravolgere la verità.
Gigi Restivo
Gent.mo Avv. Restivo,
premesso che conoscendo personalmente il giornalista Romeo non lo ritengo capace di snaturare artatamente i contenuti di un articolo per stravolgere la verità, leggendo lo scritto del La Licata, resto perplesso in merito al passaggio citato che, a mio modesto parere, ha dato luogo a due diverse interpretazioni, alle quali solo l’autore potrebbe dar risposta.
Così come, nebulosa mi appare l’affermazione “che non ha saputo o voluto fare tesoro della terribile esperienza della mattanza mafiosa e della successiva conoscenza del fenomeno scaturita dalle rivelazioni dei pentiti”, non indicando chiaramente il soggetto – che vista l’attualità, potrebbe anche essere identificato nel giornale -, lasciando spazio al lettore nel dedurre se sia frutto di una ben precisa volontà (e qui, credo che la “ragione” non poteva essere chiamata in causa), o di fatto meramente accidentale.
In mancanza di chiarimenti da parte dell’autore dell’articolo dal quale è stato tratto il passaggio oggetto del contendere, ritengo opportuno pubblicare a commento l’intero scritto, dando modo al lettore di farsi una propria opinione.
Cordiali saluti
Sciascia e il Paese della ragione smarrita di Francesco La Licata de La Stampa
FRANCESCO LA LICATA
No, questa volta non si tratta di un’invenzione letteraria. E il Comune appena sciolto per mafia non è un luogo immaginario, la Regalpetra di Leonardo Sciascia, ma la Racalmuto di oggi, con le ferite non ancora rimarginate della guerra di mafia degli Anni Novanta, con le lacerazioni dolorose figlie delle accuse sottoscritte dai pentiti che non hanno risparmiato parentele né vecchie e solide amicizie.
La statua di Siascia, senza piedistallo e appoggiata sul marciapiede, si confonde col popolo dello struscio pomeridiano e sembra aprire l’orecchio ai commenti dei soci del circolo Unione. Chissà se finalmente potrà ascoltare anche un semplice accenno sulla mafia, sulla malapolitica, su come l’amministrazione comunale è stata infiltrata dal malaffare. Già, perché nella patria di Leonardo Sciascia, che di mafia parlò quando tutti ne negavano l’esistenza, il problema continua ad essere rimosso nell’indifferenza generale. Una distrazione che non dove essere estranea al contagio.
Descrivendo la sua Regalpetra, annotava Sciascia: «Ho tentato di raccontare qualcosa della vita di un paese che amo, e spero di aver dato il senso di quanto lontana sia questa vita dalla libertà e dalla giustizia, cioè dalla ragione». Era il 1956 e la lontananza dalla «libertà e dalla giustizia» si riferiva soprattutto alla mancanza di equità sociale, all’arretratezza, alla vita grama di chi non aveva né voce né potere. Oggi l’assenza della ragione sta interamente in quella apatia, denunciata da voci isolate come i redattori del periodico «Malgrado tutto» (il giornale «adottato» e protetto dallo scrittore), che non ha saputo o voluto fare tesoro delle terribile esperienza della mattanza mafiosa e della successiva conoscenza del fenomeno scaturita dalle rivelazioni dei pentiti.
La ragione avrebbe imposto un’attenzione maggiore alle conseguenze della faida: se c’è guerra di mafia deve esserci contagio nella società civile e nelle istituzioni. La comunità di Racalmuto quel contagio non ha voluto vederlo. Seppelliti i morti, è scoppiato il silenzio delle armi. E senza cadaveri, si sa, la mafia non esiste. Invece c’era, eccome. Sarebbe bastato andare a guardare dove la commissione prefettizia ha trovato le anomalie che indirizzavano gli appalti sempre nella stessa direzione oppure dare una spiegazione alle presenze, anomale appunto, in seno al consiglio comunale.
Oppure semplicemente chiedersi come mai il Comune continuava a pagare metà stipendio ad un boss condannato e poi divenuto collaboratore di giustizia.
FONTE: LA STAMPA
P.S. Tengo inoltre a precisare che l’articolo di cui sopra, è stato tratto dal giornale Grandangolo. Ritengo pertanto, che eventuali chiarimenti andavano chiesti al giornalista, o per tramite il giornale per il quale scrive.
La ringrazio della sua precisazione e per la pubblicazione dell’intero articolo di Francesco La Licata che, a mio giudizio, è molto chiaro e non si presta a duplici interpretazioni.
Probabilmente lei non conosce la trentennale storia del giornale Malgrado tutto che ha avuto una diffusione locale soprattutto a Racalmuto.
Quando La Licata si riferisce alle denunce di “Voci isolate come i redattori di Malgrado tutto” fa riferimento a giovani – oggi non più – che fecero di quell’esperienza la propria palestra professionale.
Le farò avere alcune copie del giornale Malgrado tutto relative agli anni in cui nessuno a Racalmuto parlava di mafia, proprio a ridosso delle stragi che si consumarono negli anni ’90.
Il giornale fu l’unica testata a richiamare l’attenzione di cittadini ed inquirenti su ciò che stava accadendo ed è questo ciò cui si riferisce il giornalista della Stampa.
Grazie della sua ospitalità.
Gigi Restivo
Il problema non è criticare le persone, sarebbe ben misera cosa.
Ritengo che per la situazione attuale non è più sufficiente dirsi “ragazzi di Regalpetra”, o di Pirandello, o di Camilleri. Davvero servono lo scudo letterario, la purezza del limbo o lo stand by? Oggi siamo costretti a scelte di campo dure e dolorose (soprattutto per gli organi di stampa che fanno da battistrada). Questo vale per tutti. Senza il “sovrano distacco”. E merita una precisazione quel “non ha saputo o non ha voluto” per non rimanere come in sospeso “a futura memoria”.
Diego Romeo.