di Agostino Spataro *
LA CRISI DELLO STATO ARABO POSTCOLONIALE
La crisi dello Stato arabo moderno è figlia dell’ideologia del panarabismo e del modello nazionalista, anche nella sua versione “socialista”.
Nella prima fase (durante e immediatamente dopo la lotta per l’indipendenza) queste ideologie si rivelarono una leva potente per la mobilitazione popolare anticoloniale e per l’avvio do un processo di ricostruzione degli Stati nazionali e di riforma del sistema economico e sociale in senso progressista.
Nella seconda fase (corrispondente agli ultimi decenni del ‘900) il mondo arabo, umiliato dalla sconfitta nella “guerra dei sei giorni” (1967) si accorge che la costruzione nazionalistica non regge alla prova dei fatti, sia sul piano militare sia su quello dell’emancipazione economica e civile.
Scopre che la riconquistata sovranità nazionale non era riuscita a modificare le strutture reali del potere ereditate dal colonialismo e che le riforme altro non erano che una semplice procedura di passaggio delle leve del potere dalle potenze coloniali europee a determinati gruppi sociali “nazionalisti” favoriti dalla politica neocolonialista occidentale.
“L’ideologia nazionalista- Maxime Rodinson- perde in breve ogni attrattiva, quando non esistono più nemici esterni e i privilegi dei compatrioti arricchiti dal capitalismo diventano oggetto di ostentazione” (1)
D’altra parte, il nazionalismo, basandosi sulla visione panarabista dell’unicità della “nazione araba”, ha fatto emergere presto la contraddizione insita in tale concetto: quella fra l’appartenenza a un’unica nazione araba e l’esistenza di frontiere politiche degli Stati nazionali, per altro disegnate a tavolino dalle potenze coloniali.
Il processo di costruzione dello Stato-nazione ha creato un’altra ambiguità di fondo fra il concetto di “nazione araba” dei nazionalisti e quello della “Umma” (comunità musulmana) degli islamisti, quasi coincidenti sia nello loro accezione letterale sia nella loro dimensione territoriale.
Anche le teorie più avanzate del nazionalismo e del cosiddetto “socialismo arabo” non sono riuscite a fare a meno del supporto dell’Islam come fattore di legittimazione politica.
Persino il grande Rais egiziano, Abdel Nasser, il più autorevole propugnatore della convivenza fra nazione araba e socialismo, ricorse, nel 1966, alla legittimazione religiosa per difendere il suo programma politico socialista.
Tuttavia, il nazionalismo ha introdotto alcuni valori (in particolare quello della lotta per l’indipendenza dall’Occidente) che, in vario modo, vivono ancora oggi nelle teorie dell’islamismo radicale.
Nelle posizioni dei teorici islamisti s’intravede un filo di continuità con la lotta anticoloniale intesa come ansia di completamento di un’opera, a loro dire, iniziata sotto le bandiere dell’Islam e proseguita o deviata dai regimi laicisti subalterni ai vecchi padroni.
La crisi dei modelli economici e statali postcoloniali, nazionalisti o socialisti, che pure hanno consentito alle società arabe progressi significativi, viene oggi letta dagli integralisti, e non solo da loro, come fallimento dei modelli importati dall’Occidente e applicati in condizioni di subalternità politica e culturale.
La visione prevalente nei movimenti islamisti radicali si affida pertanto alla “rivoluzione islamica” come unica possibilità di cambiamento, giacché le precedenti “rivoluzioni” (anticoloniali e laiche) non sono state altro che evoluzioni, mal riuscite, del modello esportato dagli antichi conquistatori.
Qualcosa di vero c’è in quest’analisi. In effetti, le condotte e le scelte politiche assunte dalle classi dirigenti arabe, nel loro complesso, hanno arrecato seri danni alla credibilità e alla moralità degli Stati che per assicurarsi la sopravvivenza hanno viepiù fatto ricorso ai metodi autoritari e al clientelismo familistico e tribale, lacerando così ogni rapporto con le società civili.
Così lo Stato si è trasformato- nota Burhan Ghalioun- in “Stato- apparato, privato di etica e di progetti politici veri, che s’impone come strumento straniero ed esterno…Lo Stato si è così ridotto a un semplice strumento di potere al servizio dei soli interessi economici dei gruppi che governano i quali si servono dello Stato come leva nel mondo degli affari internazionali” (2)
LA CORRUZIONE COME SISTEMA DI SCAMBIO NELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI
Un altro fattore scatenante la crisi dello Stato arabo moderno e delle sue classi dirigenti è la corruzione diffusa ed elevata a sistema di scambio.
Tuttavia, la corruzione non è appannaggio esclusivo degli arabi, ma un fenomeno di dimensione planetaria, ingigantitosi sulla spinta delle politiche di deregulation e di liberismo selvaggio che, invece di ricchezza per le nazioni, hanno prodotto squilibri sociali e modelli di comportamento individuali ispirati alla sfrenata ricerca del successo mediante l’arricchimento rapido quanto illecito.
Corruzione intesa non solo come perversione morale di singoli individui, ma come metodo di transazione economica regolatrice degli affari e perfino delle relazioni fra i governi, soprattutto nel quadro dei rapporti Nord-Sud.
Per il lettore italiano, che sa come sono andate le cose nel nostro Paese, non è difficile convincersi che la corruzione non è una piaga esclusiva del terzo mondo.
Soprattutto in quei sistemi politici bloccati dalla mancanza di ricambio di classi dirigenti tutti i fattori di crisi si sono aggravati e accelerati, facendo precipitare la situazione ben oltre il dato fisiologico, fino a livelli davvero insostenibili.
Anche perché i regimi dominanti hanno impedito, talvolta represso, ogni tentativo di riforma del sistema politico burocratizzato e corrotto, propugnato dalle forze progressiste “laiche” per una transizione verso uno Stato effettivamente democratico e pluralista.
Certo, non si possono definire pluraliste le elezioni-farsa che si svolgono in taluni paesi arabi, quasi per dare una tinta di democrazia a regimi polizieschi, nelle quali il partito del rais di turno si attesta sempre fra il 90 e il 99% dei consensi.
In altri paesi il problema non sussiste, poiché i regimi assolutisti non hanno ancora concesso le elezioni a suffragio universale.
Le condotte illiberali di quasi tutti i regimi arabi sono anche il risultato di logiche di obbedienza alla superpotenza di riferimento, la quale nei rapporti con lo Stato arabo satellite non ha mai preteso il rispetto delle libertà personali e collettive, dei diritti umani, civili, sindacali, ecc.
Si sperava che dopo il crollo dell’impero sovietico e la dine del confronto Est.-Ovest si attivassero nel mondo arabo dinamiche nuove di sviluppo economico e democratico.
La guerra del Golfo, condotta in nome degli ideali occidentali, sembra avere precluso ogni speranza.
“Diversamente da ogni altra regione del pianeta, la transizione democratica nel mondo arabo è ostaggio della convergenza d’interessi tra élite al potere, che agiscono come cinghia di trasmissione per conto dei mercati esterni, e potenze strategiche, economiche o statali transnazionali concorrenti” (3)
All’interno di questo scenario si colloca il fenomeno della corruzione nel mondo arabo che ha contribuito enormemente alla diffusione dell’integralismo religioso. L’islamismo politico, al quale molti regimi arabi hanno consentito di organizzarsi a partire dalle moschee, è riuscito a cogliere, prima e meglio di altri movimenti d’opposizione, il malcontento e l’indignazione popolari e quindi a innestare su queste sacrosante ragioni la sua strategia politica.
Nei momenti di grave crisi, il passaggio dall’indignazione alla contestazione violenta è alquanto rapido. Come accade un po’ dovunque nel mondo, l’insopportabilità della corruzione e dei facili arricchimenti esplode nel pieno della crisi economica e finanziaria, poiché diventa più vistoso il divario fra il livello di benessere raggiunto dall’élite affaristico – governativa e le disperate condizioni di esistenza nelle quali vengono ricacciati interi settori della società non più protetti dall’intervento assistenziale dello Stato.
Note:
(1) Maxime Rodinson, Islam e capitalismo, Einaudi, Torino,1968
(2) Burhan Ghalioun, Le malaise arabe, Enag, Algeri,1991
(3)Burhan Ghalioun, op. cit.
* Brani tratti dal libro di Agostino Spataro “Il fondamentalismo islamico”, Editori Riuniti, Roma 2001