PUNTI DI CONTATTO

di Salvatore Nocera Bracco

È curioso come, ripercorrendo alcuni itinerari letterari tracciati nei mei libri, pubblicati o in via di pubblicazione, stia riscoprendovi dei piccoli ma significativi punti di contatto con l’Islam.

Ci rifletto a maggior ragione oggi, in cui le diversità culturali sono ancor più rimarcate dal covid e dalle politiche ad esso sottese, in cui al solito i paesi più ricchi – alcuni dei quali anch’essi islamici, la maggioranza cristiani protestanti – prevalgono e determinano quelle dei paesi più poveri, per la maggioranza islamici in Africa e Medio-oriente, cristiana cattolica in America Latina, induista in India.

Oltre alla Cina, in cui la questione religiosa sembra aver poco peso nel suo ateo ma pur invadente neo-capital-comunismo dittatoriale.

Intanto trovo opportuno ripartire dal concetto di Pietre d’attesa, soprattutto quelle d’Africa, così come delineato nel capitoletto La teologia delle pietre d’attesa[1].

Penso che tutte le pietre che attendono in tutte le parti del mondo debbano smettere di attendere. Il mondo generalista, globalizzato, è tale perché qualcuno produce e gestisce a suo piacimento e in maniera quasi esclusiva, soprattutto le tecnologie necessarie, d’ogni tipo, ma usando le materie prime – le pietre d’attesa – anche dei paesi dell’Africa.

Sto pensando al coltan, tanto per citarne una. Le pietre d’attesa rappresentano le reali risorse dei paesi del cosiddetto terzo mondo – e di questa espressione mi vergogno un po’, dato che il mondo è solo uno, e tutti hanno la stessa dignità, anche se espressa in maniera diversa, di appartenere alla stessa Umanità.

Sono le mire di alcuni, organizzati in Nazioni ricche, che rendono il mondo primo, secondo e terzo. Le materie prime dei Paesi Africani, le loro pietre d’attesa, sono sfruttate dai Paesi occidentali cosiddetti civili per mezzo delle loro Multinazionali.

E il miglior modo per sfruttare le risorse di altri paesi è destabilizzarli politicamente, dividendoli dall’interno in modo da creare uno stato di perenne guerriglia: da un lato si vendono loro le armi, dall’altro se ne sfruttano le risorse, depredandole, senza che nessuno protesti.

O con l’appoggio di ristrette élites politiche locali, per lo più corrotte e servili. L’unico modo che queste pietre d’attesa cessino di attendere, è che gli Africani prendano consapevolezza che è necessario innanzitutto dirimere le proprie divisioni interne, evitare di cadere nella facile tentazione di accettare il pesce che viene loro donato, ma imparare con pazienza a usare la canna da pesca in maniera autonoma e autodeterminata.

Ci vuole uno sforzo non indifferente, mi rendo conto. Sforzarsi di collaborare insieme, ognuno nel rispetto delle proprie identità, significherebbe avere più possibilità di emanciparsi dalla subalternità economica dal mondo occidentale.

Come ottenere le tecnologie adeguate, intanto, e imparare a gestirle, per essere loro i primi, gli Africani stessi, a sfruttare al meglio le proprie materie prime.

Se due Persone si sono sempre evitate, temute, guardate in cagnesco, e ogni occasione è buona per delle ritorsioni – ma riescono a trovarsi nella giusta condizione per Incontrarsi, magari dopo una ben condotta Mediazione – hanno sicuramente una possibilità in più per Riconoscersi.

Adesso, e solo adesso, il Dialogo fruttuoso diventa possibile. E dal Dialogo – che, ricordiamolo, dovrebbe essere la relazione che più d’ogni altra è in grado di generare Pace! – ecco nascere una vera e propria reciproca Disponibilità, a crescere ognuno con l’appoggio dell’altro, nelle proprie specificità, superando soprattutto i motivi di divisione, ed esaltando – ma mi sembra del tutto scontato – i motivi in comune.

Il fatto di vedersi sottrarre da sotto gli occhi le materie prime della loro Terra mi sembra un motivo comune niente affatto irrilevante.

La stessa cosa si potrebbe ipotizzare per le Nazioni Africane, ma chi le governa deve avere l’apertura necessaria per accettare l’Incontro, e tutto ciò che ne consegue.

Gli Africani, da quello che comprendo anche attraverso il mio lavoro di medico con numerosissimi migranti sopravvissuti, devono imparare a riconoscere che il loro sviluppo, e soprattutto il loro affrancamento dallo sfruttamento occidentale, passa innanzitutto attraverso l’acquisizione e il giusto uso della Tecnologia. Ma bisogna prima crescere nella consapevolezza.

In certi Paesi occidentali, mediterranei e non solo, alcune tendenze politiche auspicano interventi di aiuto economico e progettuale alle Nazioni Africane, per evitare quell’annoso problema dei migranti: “Bisogna aiutarli a casa loro”, dicono i loro migliori rappresentanti. Così in teoria non ci sarebbero le condizioni per allontanarsi dalla loro Nazione.

Ma, per i motivi che ho appena su accennato, credo sia una delle posizioni più demagogiche e ipocrite che io conosca.


[1] Salvatore Nocer Bracco, Il medicartista: del corpo la cura e le parole, Medinova edizioni

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