di Salvatore Nocera Bracco

Le parole, nel cervello, non seguono le stesse strade dei farmaci. I quali curano (forse, e comunque non sempre). Le parole invece guariscono.
In un convegno, parlando dei miei soliti argomenti tra Consapevolezza emotiva e Comunicazione all’interno di quell’ormai abusata concettualmente, ma trascuratissima nella pratica, relazione medico-paziente – qualcuno mi ha chiesto se fosse auspicabile una integrazione tra medicina tradizionale e medicina cosiddetta alternativa. In realtà, non è proprio il mio campo di riferimento, tuttavia ho cercato di dare più o meno una risposta che riflettesse il mio abituale modo di pensare:
– Nel nostro cosiddetto mondo civilizzato non sembra esserci più spazio per gli sciamani. Tuttavia ogni luogo, ogni cultura, ogni gruppo etnico ha ancora una sua Medicina più o meno tradizionale. Quindi, il concetto di alternativo è molto sfocato. E quando ci riferiamo alla medicina tradizionale a quale ci riferiamo, a quella Occidentale? Orientale? Africana? Araba? Indiana? Cinese? Tradizionale in che senso? Se andiamo in Amazzonia, o in Siberia, è tradizionale l’armonia, l’accordo, il rispetto per ciò che è vivo, e dove tutto, ogni cosa, ogni essere vivente, ogni persona, ogni ambiente viene riconosciuto con il suo giusto valore e salvaguardato. Laddove invece subentra un’idea di colonizzazione, non c’è più corrispondenza tra la tradizione di un gruppo etnico e la sua legittima espressione, per cui la mia tradizione si impone, e diventa migliore della tua. Una tradizione si impone o cerca di imporsi su tutte le altre, asservendole e spesso cancellandole. Ogni cultura ha la sua Medicina. Fermo restando che alcuni aspetti di ogni Medicina sono comunque efficaci nelle altre – ed è questo semmai l’elemento da amplificare come fatto comune – alla fine è l’origine che determina una Medicina rispetto ad un’altra, la provenienza: ed è la condivisione di credenze, atteggiamenti, comportamenti che ne determinano l’efficacia. Che è tutta commisurata al grado di adesione della Persona. Quindi, per me che sono un medico mediterraneo, potrebbe essere insolito trovarmi a curare un Inuit, ad esempio. Posso comunque farlo, ma la mia presenza sarà più efficace se imparerò la sua lingua, se sarò inserito nella sua Cultura. Tanto per giocare, se venisse da me proprio un Inuit, chiedendomi un aiuto di tipo “medico”, cosa potrei fare? Come potrei aiutarlo sinceramente? Intanto, se davvero venisse lui da me, significherebbe che in qualche modo mi riconosce, e se mi riconosce vorrebbe dire che condividiamo qualcosa: ad esempio un linguaggio che ci permetterebbe di esprimerci in una condizione di reciproca comprensione. E se mi riconosce, vuol dire che anche io sono Inuit, o che ne ho una conoscenza così profonda e ricca da essere comunque considerato tale. Se così non fosse, potrebbero venir fuori pericolosi malintesi. È ciò che possiamo mettere in comune, che ci permette di entrare in relazione efficace. Permanere ognuno rigidamente nel suo linguaggio, più che agevolare una messa in comune, esaspera le divergenze e l’incomprensione. Fino al conflitto. Noi siamo così abituati a promuovere il nostro punto di vista, che non sappiamo più rinunciarvi: è la nostra verità assoluta che va difesa ad ogni costo. E senza nemmeno la possibilità di cambiarla. Vorrei davvero lasciarmi inondare da tutta questa complessa diversità per scoprire qual è la nostra origine comune dell’umanità. Solo così posso imparare a percepire cosa davvero sento dell’Altro e di me stesso. E soprattutto cosa ci mantiene nel confronto e nel reciproco riconoscimento. Pur rimanendo fiero e orgoglioso della mia particolarità. Detto in altri termini, non solo Rispetto, ma Accettazione, Apertura mentale e soprattutto Integrazione del proprio sapere, il proprio essere, senza mai rinnegarsi, ognuno esprimendo la sua specificità di Persona, pur facendo parte della Stessa Umanità. E siamo diversi perché la nostra cultura è diversa, e dunque il nostro punto di partenza è diverso, non migliore o peggiore, men che meno degno o indegno. Anche se la vita è un’esplorazione che non sai mai dove ti porta, è sempre importante avere un punto chiaro di partenza. In questo senso ogni Integrazione diventa possibile e auspicabilmente pure molto produttiva. Al contrario, ciò che noto oggi è la tendenza di una ben chiara predominanza “culturale”, a imporre il suo punto di vista, spacciandolo per il migliore possibile, attraverso un linguaggio – una lingua – che prova a sottomettere tutte le altre, fino a negare ogni diversità culturale. Lascio a voi un ulteriore spazio di riflessione sulle conseguenze, reali, di questo ben preciso progetto.