La Chiesa Cattolica ha precise norme e procedure per la beatificazione e santificazione di quelli che, passati a miglior vita, vanno a far parte di una schiera di eletti, destinati ad essere oggetto di venerazione dei fedeli e capaci di farsi mediatori delle speranze di essi di soprannaturali benefici.
C’è qualcosa di analogo, tranne che nella rigorosa formalità del procedimento, nella “beatificazione” (o qualcosa del genere) di alcuni viventi, destinati a diventare oggetto di culto della gente e ci sono specialisti di questi procedimenti ed anche uffici ed organizzazioni con tale scopo. E una scienza, un’arte, esistono per raggiungere il risultato di “mettere sugli altari” chi di tali artefici sappia valersi o che abbia, comunque, chi ritiene di doverli imporre al culto delle folle.
A parte le cerimonie cattoliche di santificazione, che hanno una storia plurisecolare, ci sono stati specialisti famosi di questo anche laico “mettere sugli altari qualcuno”, che è, poi quella che ora si chiama “scienza della pubblicità”. Se ne può considerare maestro, fondatore, antesignano Pietro Aretino, penna terribile, in verità più temuta che apprezzata ai suoi tempi, che dei proventi di questa attività visse da nababbo, accumulando enormi ricchezze.
Napoleone Bonaparte istituì un apposito ufficio nella burocrazia imperiale per incensarlo adeguatamente e “curare la sua immagine” come oggi si direbbe.
Mussolini creò il Min. Cul. Pop. con il compito preciso di creare il culto della sua personalità, puntando peraltro sulla soppressione e sulle dure persecuzioni di ogni manifestazione di diverso apprezzamento. Hitler ebbe in Goebbels, Ministro della Propaganda, il buffo gerarca sovrastato da un berretto della sua divisa nazista, stranamente piantato sulla piccola testa, che riuscì così bene nel suo compito da ottenere che i tedeschi si facessero docilmente ammazzare e divenissero assurdi assassini, fino all’ultimo giorno del loro Capo.
Nell’Italia democratica non mancano certi specialisti dell’esaltazione dei potenti. Ve ne sono di tutti i livelli e di tutte le specie: scrittori, politologi, giornalisti, mezzibusti televisivi.
Ma i veri processi di beatificazione laica sono riservati ai magistrati.
La divinizzazione di Di Pietro negli anni ruggenti di “Mani Pulite” superò nettamente in piaggeria ed impudenza, quella di Mussolini. Giornalisti pennivendoli, o semplicemente servitori e leccapiedi istintivi, sfidarono ogni sentimento del ridicolo per esaltare l’Eroe molisano. Ne scoprirono ogni più inverosimile qualità: grande giurista e persino elegante ed efficace oratore. E coniarono per lui denominazioni apologetiche: “Il magistrato più amato dagli Italiani” era la più usuale e, magari, la meno ridicola.
La santificazione di Di Pietro, benché torrenziale e compatta, fu, almeno così sembra, non specificamente organizzata e diretta. Nacque, esplose, durò (poco) e, sempre spontaneamente, si spense.
C’è oggi un altro processo di santificazione di un magistrato, che può, per più versi, considerarsi l’opposto di quella di Di Pietro. Il suo effetto, la sua “presa” sulla gente è, tutto sommato assai modesta. Andate a domandare a quelli che incontrate per strada chi è Nino Di Matteo e vi risponderanno, magari, che forse è il giornalaio dell’edicola lì accanto. E questo, può darsi capiti pure a Palermo.
Ma quanto ad organizzazione è, invece, una santificazione pianificata, diretta da una mente certamente non eccelsa ma pertinace e metodica.
Nino Di Matteo è, occorre ricordarlo, un magistrato della Procura di Palermo. Un magistrato “antimafia” che ha conosciuto successi ed anche un clamoroso insuccesso ed oggi è impegnato in uno strano processo senza fine né limiti di stranezze, in cui, stando anche alla denominazione usuale, del “norme d’arte” che gli viene dato, imputato si direbbe sia nientemeno che lo Stato, reo di aver tentato di sottostare ai ricatti della mafia. Nino Di Matteo è l’”uomo simbolo” del processo della “trattativa”. Di Matteo non ha saputo scrollarsi di dosso le baggianate di questo ruolo, e così sembra che non possa sottrarsi ad una organizzatissima campagna per la sua santificazione laica.
Non deve proprio essere piacevole sentirsi fare oggetto di baggianate, per quanto apologetiche. Ma il mondo è bello perché vario.
La macchina propagandistica che si occupa di questo nuovo astro della toga, punta ovviamente su uno strumento: il conferimento della cittadinanza onoraria da parte di città e villaggi del Sud e del Nord.
Nessuno, in Italia ed in alcun altro paese, ha mai collezionato un così gran numero di cittadinanze onorarie quante quelle conferite a Di Matteo. Ne ho contate una quarantina, ma poi mi sono stancato.
Sono paesini di montagna dell’Abruzzo, e le più grandi Città d’Italia. Vanno da Mosciano Sant’Angelo a Roma, passano da Trapani, Muggia, Acquaviva delle Fonti, Torino, Milano, Bologna, Bari. Non mi pare ci sia Palermo. “Nemo propheta in patria”, probabilmente.
Roma è arrivata ultima, o quasi, e con il voto massimo, che oggi consente a Di Matteo, se gli resta un po’ di voglia di scherzare, di proclamare “civis romanus sum”, sono stati superati i contrasti ed i grossi guai in cui versa l’Amministrazione Capitolina.
Il conferimento delle “cittadinanze” ha avuto un ritmo frenetico nelle fasi salienti delle vicende dei concorsi per il posto di Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia cui partecipava Di Matteo. La “cittadinanza” di Roma gli è stata conferita in coincidenza con il voto del C.S.M. che, alla fine lo ha accontentato.
Ora chiusa quella fase, è in corso l’altra, per l’”applicazione” alla Procura di Palermo cioè per non muoversi da dove sta. Ed a cambiare anche l’appoggio dei Comuni d’Italia. Non più conferimento di cittadinanza, ma voti, sempre unanimi, dei Consigli Comunali di plauso, apprezzamenti e saluti. Ma la sostanza non cambia.
E neppure la regia. Regia di chi? Forse del Guru Bongiovanni, direttore di “Antimafia 2000”, organo ufficioso della Procura di Palermo, secondo Ingroia, quello con la croce dipinta sulla fronte, che parla con gli extraterrestri e con Gesù. Personaggio che ben si addice ad un processo di santificazione.
Mauro Mellini