Palermo. La Conca d’Oro, la strada, il sole di luglio. Il periodo è quasi lo stesso. Ho da poco superato il bivio di Capaci. Un altro ricordo, un’altra strage. L’avvocato Rosalba Di Gregorio mi accoglie nel suo studio. Un bicchiere di acqua fresca, un caffè, una sigaretta e il nostro viaggio a ritroso nel tempo ha inizio.

Palermo, via D’Amelio, 19 luglio 1992. Un’autobomba uccide il Giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta.
Non erano neppure passati due mesi da quando sull’autostrada A29, in prossimità dello svincolo di Capaci a pochi chilometri da Palermo, un attentato aveva ucciso un altro magistrato antimafia, Giovanni Falcone, la moglie e tre uomini della sua scorta.
Ventidue anni di indagini, processi, condanne ed assoluzioni non hanno mai chiarito il mistero su chi volle quelle stragi. L’unica cosa che appare ormai certa: il fatto che a decidere e pianificare le stragi fu un livello superiore alla mafia. Un “terzo livello” che vede coinvolti apparati dello Stato e, forse, non soltanto di quello italiano.
“Chi si nasconde dietro quel tanto vituperato «terzo livello» che ha legato mafia e pezzi delle Istituzioni attraverso il «papello», ha verosimilmente lo stesso profilo di chi ha ucciso il giudice Borsellino e di chi per 22 anni ci ha dato in pasto una storia da due lire, alla quale abbiamo voluto credere per sedare la diffusa ansia di giustizia che ha scosso il Paese nell’immediato dopo strage?”. Questa la domanda alla quale l’avvocato Rosalba Di Gregorio e la giornalista Dina Lauricella, con il libro “Dalla parte sbagliata – La morte di Paolo Borsellino e i depistaggi di via D’Amelio”, prefazione del magistrato Domenico Gozzo, vorrebbero si desse una risposta.

L’occasione per incontrare l’avvocato Rosalba Di Gregorio è proprio quella della pubblicazione del libro. A Rosalba Di Gregorio, difensore di fiducia di imputati di primo piano nei processi per fatti di mafia (Bontate, Greco, Pullarà, Vernengo, Marino Mannoia, Mangano, Provenzano e altri),va riconosciuto il merito di aver compreso fin dall’inizio dei processi che dietro le stragi c’era qualcosa di diverso da quello che prospettava il pentito Vincenzo Scarantino.
L’Avvocato del Diavolo, come viene definita la Di Gregorio in quanto difensore di fiducia di boss di indiscusso spessore, ha gridato al vento, per più di venti anni, una verità che forse nessuno voleva sentire, difendendo sette degli imputati condannati all’ergastolo e che oggi, a seguito delle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, sono tornati in libertà.
Anni di indagini, processi, condanne, senza fare chiarezza su uno dei più fitti misteri italiani: la strage di Via D’Amelio!
Scarantino da superpentito di Cosa Nostra, accreditato come presunto uomo d’onore anche grazie alla sua parentela con il boss Salvatore Profeta, fu l’uomo chiave dei primi processi, le cui verità che portarono a undici ingiuste condanne all’ergastolo sono state demolite dal pentito Gaspare Spatuzza. Nuove indagini, nuovo processo, anni di lavoro e verità buttati via. Ma fu solo colpa di Scarantino? E, soprattutto, si trattò di clamorosi errori giudiziari o dietro la vicenda Scarantino c’è qualcosa di ben diverso dal semplice, seppur grave, errore giudiziario?
D: “Dalla Parte Sbagliata”, il titolo del libro che nasce per la condizione per la quale vengono visti gli avvocati della difesa…
Avv. Rosalba Di Gregorio: Di base, ai processi di beatificazione della Sacra Rota non ci chiamano, quindi, necessariamente, se fai il penale un imputato di qualcosa ce l’hai… L’unico limite che mi sono posta, credo che sia un mio limite, è che in 32 anni non ho mai voluto assistere qualcuno imputato di violenza fisica e sessuale, tanto più sui minori. Quello è un mio limite. Un mio limite, una pregiudiziale, perché ritengo che in quei casi l’ordinamento giudiziario possa fare ben poco. La reputo una malattia grave: o fai una castrazione chimica o lo rieduchi, nel senso che gli fai proprio il lavaggio del cervello. Perché sei anni di carcere per un violentatore, in una sezione di violentatori, secondo me non serve a niente. Si tratta di una sfiducia mia verso l’ordinamento e il sistema giudiziario: che metti a fare in galera per 6 anni? Né lo punisci e nemmeno lo rieduchi.
Il Libro e La 126

D: L’idea del libro da cosa nasce?
Di Gregorio: L’idea nasce in corso di processo. Avrei voluto farlo proprio durante quel periodo, tanto che in una parte lo chiamo “Diario”, ma poi ho ritenuto non fosse opportuno. Dopodiché, quando i miei clienti sono stati condannati definitivamente, dopo essere stati assolti in primo grado e poi ricondannati in secondo grado con la ritrattazione della ritrattazione di Scarantino, ho capito che qualcosa dovevo pur farla. In Cassazione, dove avevo quattro posizioni da difendere, non ci hanno neppure fatto parlare e dopo un quarto d’ora il Presidente mi disse: “Avvocato, è stata bravissima, basta…”. Ritornando in studio, le lascio immaginare con quale stato d’animo, mi hanno regalato quella fotografia che sta lì (mi indica una foto che ritrae la Via D’Amelio subito dopo l’attentato) di cui una parte è stata presa per la copertina del libro. Nel corso del processo di secondo grado, l’unico riscontro a tutte le dichiarazioni di Scarantino, a tutta la dichiarazione di Candura… – secondo l’impostazione del processo – era il ritrovamento del blocco motore (dell’auto utilizzata per l’attentato – ndr).
Blocco motore che non ci hanno mai fatto vedere dove lo hanno trovato poiché non c’è una foto in loco. Il blocco motore venne trovato alle 13:30 del 20 luglio ma la polizia, attraverso l’ANSA, intorno alle cinque e mezza del 19 luglio, informava dell’esplosione di una Fiat di piccole dimensioni. Una 600, una panda o una 126… Come potevano sapere di che auto si trattasse non essendo ancora stato rinvenuto neppure il blocco motore? Non è strano che dopo aver rastrellato – così dicono – tutto il terreno di via D’Amelio, riempiendo con tutto quello che c’era a terra, cicche di sigaretta comprese, più di sessanta grandi sacchi neri di quelli usati per la spazzatura non si erano accorti di un blocco motore di 80 kg e non avevano visto neppure una targa, quella posteriore dell’autovettura, che secondo quanto poi dichiarato si era andata a posizionare nel marciapiede di fronte, sotto una macchina, ma visibile…?
Tutta la dinamica attorno al blocco motore è, diciamolo, un po’ strana… Lo stesso Scarantino in ritrattazione, nella ritrattazione di Como, dice: “Gianpiero, autista di La Barbera (Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo che basò le indagini sulle dichiarazioni di Scarantino) mi ha detto che i poliziotti hanno scoppiato la macchina – così si esprime – in Bellolampo e hanno perso i pezzi in via D’Amelio”. Io a Scarantino non credo né quando parla, né quando ritratta, ma la cosa sicuramente mi incuriosisce, tanto più che mi era stato impedito di approfondire le ricerche. A questo punto, bisognava, riguardare un attimino tutto il processo, quindi – a processo finito – affidiamo una consulenza ad un ingegnere …Cerchiamo di trovare altre fonti, fino a quando io vengo bloccata nuovamente… ad esempio mi si dice: “attenzione, ferma, perché c’è un nuovo pentito che parla”. Lo dice un PM e, ovviamente, io non posso sapere chi è il pentito, ma sta parlando con il procuratore nazionale che nel frattempo è diventato Grasso. Diverse volte mi ero arrovellata sulla questione, mi ero lamentata, ottenendo in risposta: “lei è fissata…”. Di processi ne ho fatti 100 miliardi ma questo non mi è mai andato giù… non sono mai riuscita a digerire quello che accadeva… Subito dopo l’inizio della revisione del processo, mi si chiede, anche da parte dei PM di Caltanissetta di dare una mano, ovviamente nei limiti di quello che era rivelabile. Un fatto per me strano, visto che con i PM sul piano personale posso avere rapporti bellissimi, ci possiamo dare del tu, mangiare insieme… ma nella qualità, io mi faccio l’avvocato e tu ti fai il pubblico ministero e siamo parti avverse. Sentirmi dire “dateci una mano perché qua non si trovano carte, sono sparite tutte cose…”, mi porta a vivere un ruolo diverso da quello al quale ero abituata. Comincio con lo scrivere ai miei clienti: “Signori, se si fa una cosa del genere noi diventiamo parti civili … Siamo parti offese perché di fronte a una situazione che cambia completamente l’ottica dell’accusa del processo siamo parte offesa”.
Questo cambiamento – anche se all’esterno non si vede – mi porta ad una nuova considerazione: Io sono stata indicata sempre come quella dalla parte sbagliata, ma tutto questo oramai è finito dentro di me. Non te lo posso più consentire. Non lo posso più ammettere per il semplice fatto che intanto non sono mai stata una che ha fatto schifezze o cose sporche e, in più, paradossalmente in questo processo, a differenza di chi ha fatto l’esatto contrario, ero l’unica che si andava a cercare gli elementi di verità. È stato partendo da questa mia nuova consapevolezza che ho detto a me stessa: un momento, queste storie si devono raccontare. Si devono raccontare perché sono attuali, perché non è un reperto archeologico.
D: Già, ma per raccontare queste storie è necessario anche far ricorso ai collaboratori di giustizia, ai cosiddetti “pentiti”… E lei…
Di Gregorio: Sfatiamo un altro mito… Io non ce l’ho con i pentiti. A me non hanno fatto nulla, non li odio. Addirittura, ricordo che Cangemi, il quale era stato pure mio cliente, quando si pentì, in un processo mi volle pure salutare. Io ho una pessima opinione – che è una cosa diversa – sia della normativa vigente sui pentiti, sia delle modalità in cui la normativa vigente si applica ai collaboratori di giustizia. A me fa schifo la risultante, non il fenomeno in sé o la possibilità che si usi un collaboratore di giustizia. Anzi! Se si pentisse un Provenzano, o altri come lui, come ho già detto non avrei difficoltà a seguirlo… Non sono contraria alla possibilità che ci si penta… ma seri… non come quelli che s’inventano le cose perché hanno visto il capello della Madonna sul comodino oppure perché la strage di Capaci li ha sconvolti… Mi usino la cortesia… tra l’altro li conosco a questi da quella parte, quindi lo so come ragionano. Prima di essere creduti vanno idealmente assolti dalla calunnia… Idealmente, ovviamente, non processati per calunnia. Non mi piace il fatto che le sentenze le facciano scrivere a loro perché non è così… Come non piace il giornalista che rielabora le sentenze definitive, e sto parlando per esempio di Travaglio, che poi interpreta… ma perché, scusa, quando ti sei laureato in legge? Quando hai frequentato il processo? Quando mai hai saputo….? Di che stiamo parlando? La critica che esprime l’altro giorno, per esempio, Salvatore Borsellino in uno scritto: “perché Ciancimino al processo Quater l’hanno voluto sentire come soggetto – naturalmente fonte processuale – che si poteva avvalere della facoltà di non rispondere?”. Ovvio, non potevano sentirlo diversamente perché nel frattempo se lo sono imputati a trattativa. Perché per noi era nato teste… Anzi, se anche io volessi malignare, potrei dire: “Scusate, ma l’avete imputato a trattativa per non farlo rispondere qua?”. Penso di no…
D: Da cosa nasce la scelta di scrivere il libro con la giornalista Dina Lauricella?
Di Gregorio: Di fronte a determinate situazioni, la critica credo sia giusta. A questo punto avevo bisogno di confrontarmi con un giornalista o una giornalista che fosse pura dalle critiche del tempo rispetto al processo di via D’Amelio. Ho ottimi rapporti con molti bravi giornalisti che hanno scritto per anni di mafia, ma nessuno di loro si è offeso pensando che avrei dovuto scriverlo con lui… Volevo una persona che, se vuoi anche per dati anagrafici, non avesse avuto parte nello scrivere su tutto quello che si è scritto ai tempi su questa vicenda… Qualcuno che leggesse le carte in maniera assolutamente laica. Per caso trovo Dina. Era venuta per sentire una voce, tanto per cambiare, in controcampo, sulla storia del tizio che raccontava che si doveva catturare Provenzano… Seguirono un altro paio di incontri durante i quali ebbi modo di notare che aveva un approccio abbastanza certo e serio dalla sua parte. Abbastanza duro, però onesto. Quindi gli ho chiesto se le andasse di scrivere insieme questo libro, riservandomi di narrare la parte processuale che lei non conosceva non essendo stata presente alle udienze. Uno dei passaggi chiave nella stesura del libro, era quello di sentire Scarantino.
Per tutta una serie di motivi, non fosse altro che perché sono costituita parte civile contro di lui nel processo, io non avrei potuto farlo. Chiesi dunque a lei di raccogliere la sua testimonianza, precisando però che prima che lo sentisse leggesse tutte le carte processuali in modo da poter interagire con Scarantino conoscendo quantomeno quello che era la storia del personaggio e le dichiarazioni rilasciate dallo stesso. Da parte sua fu forse la fase più lunga ed impegnativa. Io ho buona memoria delle cose e avendole vissute nelle aule giudiziarie e nella consultazione dei carteggi non avevo alcuna difficoltà nel ricostruire la storia. Sulla scorta di quanto acquisito da Dina Lauricella e su quanto affermato da Scarantino, iniziammo a dialogare, a confrontarci e a fare le stesure dei primi passaggi di quello che sarebbe poi stato il nostro libro.
Scarantino

D: La figura di Scarantino. Dalle sue dichiarazioni nasce un processo, ci sono degli accusati. Oggi scopriamo, anzi lei per prima forse si accorge, che molte cose che dice Scarantino non reggono.
Di Gregorio: Neppure una!
D: Eppure, nel 1994 grazie alle sue rivelazioni si aprì il primo processo sulla strage di via D’Amelio, conclusosi il 27 gennaio 1996 con la condanna all’ergastolo dei presunti complici di Scarantino: Giuseppe Orofino, Pietro Scotto e Salvatore Profeta.
Nell’ottobre del 1996 iniziò il secondo processo ai presunti mandanti della strage: Salvatore Riina, Carlo Greco, Salvatore Biondino, Pietro Aglieri e Giuseppe Graviano, insieme ad altri imputati tra i quali i presunti esecutori. Oltre Scarantino, agli atti vengono acquisite le dichiarazioni di altri pentiti (Ganci, Cancemi, Anselmo, Ferrante).
Di Gregorio:Allora, abbiamo due momenti. Il primo momento è quello quando depositano gli atti ed ci vengono consegnate le prime carte…etc. La prima cosa di cui ci si accorge, evidentemente perché sbagliano, è che lasciano nelle carte del processo per l’udienza preliminare un foglio che era la lettera di trasmissione dalla Procura di Caltanissetta, firmata Giordano, alla Procura di Palermo, indirizzata a Lo Forte: “Ti trasmetto per quanto di competenza i 3 confronti che ha fatto Scarantino con Di Matteo, La Barbera e Cangemi”. Quindi, con tre pentiti già consolidati quantomeno dalla sentenza di Capaci…
L’osservazione è banale: se li hanno messi a confronto, evidentemente, avevano versioni diverse! E nasce la prima domanda: Scusate, dove sono le versioni diverse? Dove sono i confronti? Anche uno che si era laureato tre giorni prima ci sarebbe arrivato… La risposta è quella che non ci sono i confronti. Non esistono i confronti. Scusate ma avete trasmesso il nulla? Risposta: “Non esistono e comunque non vi riguardano!” A questo punto, ho fatto un’istanza alla procura di Palermo, a Lo Forte, scrivendo: “I confronti esistono, se no che vi trasmettono? Me li da lei?”. Lo Forte mi risponde: “No, non ci faccia litigare con la Procura di Caltanissetta, lei se lì doveva fare dare nella sede…”. A quel punto chiedo: me lo mette per iscritto che, “Io non te li do perché non te li posso dare?” Mi risponde: “Sì signore”.Perfetto! Ma non fu così. La risposta fu quella che non mi riguardavano perché non riguardavano gli imputati di quel processo. E’ chiaro che parti con un atteggiamento, diciamo, minimamente prevenuto…
Dopodiché leggemmo le dichiarazioni di Scarantino epurate di alcune parti. Cosa voglio dire?Ci sono gli omissis famosi, persino nel primo interrogatorio, quello del momento in cui si pente con Boccassini… La notte in cui sono presenti Petralia, Bocassini e La Barbera a Pianosa. L’interrogatorio infatti fu in notturna.
Qui mancano diverse parti, noi le avremo solo quando Scarantino si pentirà di essersi pentito, cioè a fine primo grado, quando in ritrattazione ci fa consegnare dal suo nuovo avvocato i documenti che aveva a casa e vedremo l’integrale…
Siamo sempre nel corso del primo grado del bis e là capisci perché erano state omissate queste parti. Formalmente sono andata a Palermo perché parlava dell’omicidio Bontade. Parlava della strage della circonvallazione, quella dove muore Alfio Ferlito che lui chiama Aldo Forliti… stravolge fatti… e si accusa di altri omicidi che lui avrebbe fatto a Palermo, semplicemente, per accreditarsi. Le parti vengono omissate in particolare perché queste carte vanno a Palermo per competenza. Palermo lo interroga e lo butta nella spazzatura immediatamente. Per noi rimangono omissis. Perché, visto che ci avrebbero fatto comodo e visto che le dichiarazioni non le hanno usate? Perché chiaramente stavano a dimostrare l’inattendibilità intrinseca della fonte di prova, prima dei riscontri. Non ce le hanno consegnate. Ce le ha date poi Scarantino dopo il pentimento d’essersi pentito, quando scopriamo che confronti non se ne fanno, non ne abbiamo.
Nonostante ciò, non se ne fa nulla e il processo prende la piega che porterà poi alla sentenza.
La ritrattazione

Faccio un piccolo passo indietro di un paio di mesi, quando si diffonde la notizia che Scarantino ha ritrattato in televisione nel corso di un’intervista di Angelo Mangano a Studio Aperto. Allora conduceva Liguori… Chiediamo non solo l’intervista, il nastro, che naturalmente non ci viene consegnato, ma anche di fissare questa sua ritrattazione… perché se sta dicendo in televisione: “Mi sono inventato tutto, sono tutti innocenti”, si chiama ritrattazione, no? Chiediamo di fissarla con un incidente probatorio. Sentiamolo nel contraddittorio per capire perché prima accusa tizio e poi invece dice il contrario. Non se ne parla neanche… Neppure si sono degnati di prendere in considerazione la nostra istanza congiunta…
Arriviamo così al dibattimento. Dalle carte che vediamo – perché qualcuna c’è l’hanno data ovviamente – Scarantino fa una ricostruzione che non fa a pugni con quella che è la prassi di Cosa Nostra, proprio la distrugge. Noi avevamo le dichiarazioni dei pentiti tipo Cangemi e altri, cioè quelli più canonici, come ad esempio nel processo per la strage di Capaci o in quello per l’omicidio Lima, dai quali si evince come la riunione deliberativa (dei vertici di Cosa Nostra – ndr) per Lima e Falcone si tenne nello stesso giorno.
Siamo agli inizi di marzo e la riunione, che non si può considerare tutto sommato deliberativa pura perché la decisione di ammazzare Falcone o Borsellino risale agli anni ottanta, diventa l’operativa della deliberativa o la ri-deliberativa in funzione dell’operativo. Ci sono tre persone, non c’era neanche tutta la commissione.
Ma di che stiamo parlando? E tu Scarantino mi metti in una riunione, che io amo definire di condominio, perché questo sembra, tutte le persone: quelli che ci dovevano stare e quelli che non ci dovevano stare. Entri tu a prendere l’acqua, bevi, e in quel momento Riina – così dichiara Scarantino – dice: “Ammazziamo Borsellino meglio che Falcone perché … quel cornuto, – Scarantino afferma che si tratta di un’esclamazione Riina – stava ristannu vivu (stava rimanendo vivo)”, nel senso che se fosse stato seduto dietro … “di questo, invece, non devono rimanere nemmeno le bucce, quindi potenziamo con un’altra bombola la bomba”. E tutto questo lo dice Riina nella riunione di condominio in cui entra lui a prendere l’acqua… L’altra cosa che colpisce nel leggere le carte è la modalità con cui lui fa verbalizzare le dichiarazioni registrate e trascritte. Ti stai pentendo, è il primo interrogatorio e dici: “Allora signori, vi ho chiamato perché volevo dire che io non c’è la faccio più a resistere, mi voglio pentire, sono pentito…”, tutto quello che vuoi. Non inizi dicendo: “alla riunione c’era Tizio, Caio, Sempronio e Martino”.
Quando uno legge il verbale, si chiede: Cos’è questo? Ne manca un pezzo? E’ una lezione a memoria? Che cosa significa? Anche in udienza il suo comportamento è quello di una persona disturbata. Abbiamo fatto le nostre brave indagini ed abbiamo scoperto che era stato riformato al servizio militare perché era neurolabile, perché era affetto da turbe… Quando abbiamo evidenziato questo aspetto, gli si fa dire che era stato riformato grazie al fatto che all’ospedale militare di Palermo, Pietro Aglieri, che era il suo capo mandamento, conosceva l’ufficiale medico tal dei tali, che gli aveva fatto ottenere l’esonero. Perfetto, peccato che lui non venne riformato a Palermo…. non so se è chiaro…
Ma non ha importanza, passa la sua parola e non l’evidenza… La prima volta che lo sentii in aula, ebbi l’impressione che non fosse una persona serena. Parlava come uno sotto effetto di droghe o farmaci. A quel punto faccio ascoltare la sua voce ad una mia amica neuropsichiatra chiedo: “Mi fai una cortesia, ascolti questa voce?”. Risposta: “Ma cosa ha preso? Che medicinale ha preso?”.
D: Anche se questo dovrebbe far riflettere in merito all’attendibilità di un teste, può non essere determinante ai fini processuali. Quantomeno se alla circostanza non si aggiunge un quadro che renda ancor meno credibile la fonte delle dichiarazioni… Scarantino, era o non era un uomo con un ruolo in Cosa Nostra?
Di Gregorio:A prescindere dall’episodio in aula del quale le ho narrato e dall’esonero dal servizio militare perché affetto da turbe, dal primo processo, il Borsellino 1, anche se non condivido questa linea, lo dico subito… non l’ho mai seguita… veniva fuori comunque che Scarantino aveva fatto parte di un ambiente anche di spacciatori, di gente che aveva rapporti, lui stesso, di tipo omosessuale, misti etc… Conoscendo un po’ il modo di pensare all’interno di Cosa Nostra e quello che mi veniva indicato del mio cliente Aglieri, che allora era pure latitante e quindi non abbiamo parlato di lui, mi sembrava veramente difficile che potesse essersi messo accanto uno come Scarantino. Non potevo assolutamente crederlo. Un altro episodio che mi lasciò perplessa fu quando Scarantino nel corso di un’udienza disse “Non posso parlare di queste cose perché ci sono troppe femmine in aula”. I presenti, mafiosi e non mafiosi, gli imputati, che venivano ancora in aula, fecero capire a gesti alle proprie mogli che venivano a seguire il processo, di uscire tutte dall’aula. A me non dissero di uscire perché lì io non sono una donna ma un avvocato… Appena Scarantino ebbe contezza del fatto che le signore erano uscite, si lanciò in accuse ben diverse da quello che erano i fatti del processo: “Tu parli della mia moralità perché sarei “froscio? … e allora, tu a tua moglie gli hai fatto le corna con tizia etc… tu hai fatto…”. Io che avevo ancora presente il confronto Buscetta-Calò nel maxi processo, l’ortodossia della fascia Provenzano-Aglieri, mi son detta: questo in mezzo a loro non c’entra nulla…
Ma, a prescindere dalla mia personale opinione, abbiamo un pentito, vogliamo vedere i riscontri? Non ce ne sono.

L’unico riscontro è la presenza del blocco motore. Perché effettivamente è stata rubata una 126. Quel blocco motore del quale non è mai stata mostrata la foto del ritrovamento. Nonostante ciò si arriva alla sentenza di secondo grado che fa diventare santo Scarantino, pur dopo tre ritrattazioni. Due ritrattazioni provate, diciamo, e vari conati di ritrattazione che abbiamo provato nel secondo grado del processo. Il principio di parcellizzazione della chiamata – che non è quello che la gente di solito pensa siano i ritardi nelle dichiarazioni – di per sé è un principio giusto per impedire che venga buttato il bambino insieme all’acqua sporca.
Come sancito dalla giurisprudenza, non perché c’è una parte delle dichiarazioni non riscontrata, se la stessa non è inerente alla struttura del fatto e quindi non rileva molto, tu ritrovi il difetto, la pecca che tu non riesci a riscontrare, e butti il pentito. In questo caso parcellizzi la chiamata, non tieni conto di questa parte e lo salvi come fonte di prova. Questo principio non è sbagliato, altrimenti basterebbe attaccare e prendere in contropiede un dichiarante per gettare alle spine un processo. Il problema si pone sul come il principio è stato applicato nella circostanza. Nel nostro caso, è stato stravolto in maniera vergognosa. Quando siamo venuti in possesso dei verbali, che ci erano stati negati, dei tre confronti, abbiamo appreso che riguardavano gli imputati, dato che c’erano, e proprio il nostro processo. Avrebbero dovuto darceli fin dall’inizio e, soprattutto, avrebbero dovuto darli al Giudice fin dall’inizio… Invece no… leggi e ti accorgi che non è un mancato riscontro, è qualcosa di diverso, di più: Una smentita! Cangemi prende per pazzo Scarantino, lo insulta, gli dice che non è un uomo d’onore, e lo documenta. Allora a quel punto non puoi nascondere il confronto. La giurisprudenza non dice che quando una cosa non ti conviene la nascondi…Quindi, col principio di parcellizzazione usato male, per essere educati e riduttivi, è stato tolto dal processo tutto quello che poteva consentire agli avvocati, ma anche al giudice, di mettere in discussione non solo l’attendibilità intrinseca del pentito ma anche tutto il resto. Perché in questo caso, per una volta, tre pentiti, vengono buttati via. Si nascondono le loro dichiarazioni, si dice: non vi riguardano…
La Denuncia contro il PM

Siamo arrivati al punto, durante il secondo grado, di denunciare in aula il PM, perché appena abbiamo trovato in aula i confronti e abbiamo detto che li volevamo dare alla Corte, ci è stato risposto: “Non vi diamo il consenso!”
Siccome il cartaceo entra se c’è il consenso, ci siamo inventati una sorta di ricusazione, di legittima suspicione della Corte, infilando in questo malloppo, che doveva andare in Cassazione, pure i confronti. Non entrarono nel processo, ma quantomeno li hanno dovuti leggere per capire se dovevano mandare gli atti o meno. A quel punto abbiamo chiestoai Pubblici Ministeri di depositarceli i confronti, come dire: “Ora li hai…”… Per tutta risposta ci dissero che i confronti non riguardavano gli imputati del processo. Chiesi la trasmissione degli atti alla Procura competente, eravamo a Torino, perché si procedesse nei confronti dei Pubblici Ministeri d’udienza per false dichiarazioni a verbale. Chi sono gli avvocati che si associano all’avv. Marasà e all’avv. Di Gregorio? Tizio, Caio, Sempronio e Martino… “Noi chiediamo la trasmissione degli atti nei confronti di questi che si sono associati, alla Procura competente” dice il PM per procedere per calunnia. Ci associamo, vogliamo essere processati per calunnia. La procura di Torino ha archiviato tutto. No! O noi siamo calunniatori o voi avete commesso il falso, non ci sono alternative… Tutto archiviato.
Poi c’è l’altra fase… quella in cui Scarantino ritratta… Siamo a fine procedimento di primo grado e ritratta in aula… Restiamo tutti di stucco… Per trenta secondi resto immobile… Che sta succedendo? Cosa è questa cosa? La prima cosa che dice Scarantino è: “Levatemi il paravento… io mi sono inventato tutto…”. La scelta di farlo in maniera tanto plateale in aula, come lui spiegherà successivamente, era dettata dal fatto che quando l’aveva fatto in forma diversa, l’avevano costretto a fare il pentito di nuovo per forza, quindi doveva farlo in pubblico. C’erano tutte le televisioni presenti.
D: Quello che lei sostiene non fa una piega, ma Scarantino per anni fu considerato un pentito credibile, grazie anche alle dichiarazioni di altri… Quindi perché il dubbio?
Di Gregorio:Perché il mio dubbio? Perché c’è una cosa che mi ha turbato profondamente e l’ha detta a Casa Professa, a Palermo, il padre di Nino Agostino (Poliziotto ucciso il 5 agosto 1989, che si ritiene si trovasse nei pressi dell’Addaura la mattina del 20 giugno 1989, il giorno prima del fallito attentato a Falcone e che insieme al collega Emanuele Piazza, riuscì ad impedire che l’attentato si compiesse – ndr). Nell’89, quindi 3 anni prima delle stragi, quando lui doveva riconoscere quello che lui chiama faccia di mostro, che poi era lo sfregiato, persone che se non organiche comunque erano a gettone o a disposizione o contattate, gli fecero vedere degli album fotografici ed in uno di questi c’era pure Scarantino. Vincenzo Agostino, a Casa Professa, ha affermato: “Questo qua me lo volevano impupare a me già nel 1989”. L’originale di questa dichiarazione c’è, perché radio radicale ha ripreso tutto l’incontro a Casa Professa… La figura di Scarantino in quest’album mi turba un po’. Ricordo ancora la metodica di Arnaldo La Barbera che per accreditare Scarantino come possibile associato a Cosa Nostra nella famiglia di Santa Maria Gesù della Guadagna, usò le dichiarazioni di Augello, che prima era “consulente” di La Barbera e poi diventò pentito per l’occasione…Lo sapevamo tutti. Il rapporto di queste figure borderline tra il confidente, lo sbirro, l’infiltrato etc., diciamo che con La Barbera era abbastanza normale.

Dopo il pentimento di Francesco Marino Mannoia, Aglieri non gradisce che vi sia sul territorio del mandamento l’occhio vigile della polizia (forse per il timore che quanti costretti alla latitanza a seguito delle possibili dichiarazioni del Marino Mannoia fossero esposti a maggiori rischi – ndr). Per cui il microspaccio, la piccola delinquenza, non vengono più tollerati: “Te ne devi andare da qui, non ci puoi stare perché mi tiri dentro gli sbirri” – come usano dire loro in questo contesto. Tra l’altro Scarantino aveva questo documento perché fa parte di un interrogatorio che ha reso Aglieri ai pubblici ministeri di Caltanissetta… Per Scarantino, inoltre, c’erano molte lamentele da parte dei mariti delle varie signore del quartiere perché molestava tutte le femmine possibili e immaginabili. Aveva un’attività sessuale, diciamo, molto varia e molto intensa e, soprattutto, senza confini, se non quelli territoriali. Tant’è che, dice Aglieri in questo interrogatorio: “Io a un certo punto ho detto a suo cognato (Profeta) – di provvedere perché così non poteva più andare…”. Una dichiarazione che porta il Procuratore a chiedere il significato di “provvedere”… Aglieri, senza mezzi termini, spiega che o Scarantino ascoltava i consigli del cognato o lo avrebbero ucciso “perché non è possibile che la gente se ne va a lavorare e al ritorno trova la moglie in lacrime perché quello… la molesta…”. Sicuramente questo ha portato al suo allontanamento dalla zona… non perché era uomo d’onore ma perché disturbava. Non escludo dunque che per continuare le sue attività nel territorio, costui possa essere andato a sconfinare a Brancaccio (zona limitrofa alla Guadagna), dove aveva già rapporti e visto che lo spaccio di stupefacenti al minuto non è controllato da Cosa Nostra. Lì può aver avuto rapporti anche con soggetti appartenenti a quel mondo, o comunque con soggetti appartenenti a quel mandamento, dai quali avrebbe potuto apprendere qualcosa. Ma che lui abbia appreso la dinamica della strage non credo sia possibile… Certo, due fatti lasciano perplessi:
Primo: Su una parte dice la verità o, meglio, dice qualcosa che oggi ripete Spatuzza. Anche con l’attribuzione dei ruoli ai Graviano, anche se in maniera diversa, e al mandamento di Brancaccio.
Secondo: La macchina che Spatuzza dice di aver consegnato per l’attentato, è la 126 di Valenti Pietrina, quella che lui sostiene di aver fatto rubare a Candura e a Valenti, ma che non hanno rubato.

C’è dunque qualcosa sulla quale riflettere. Che la vicenda sia stata appresa per intero da loro, no, perché non c’erano rapporti, ma questo non esclude che le sue dichiarazioni in qualche modo possano essere state indotte o influenzate da altri. Quando Scarantino ritratta le proprie dichiarazioni, ci porta tutti quei fogli annotati sui quali si dovrà ancora fare una parte di perizia grafica. Tutti fogli annotati: “Qua dici questo, qua dici quell’altro, questo non lo dire più, rettifica su questo… Se ti chiedono questo rispondi così…”. Sembrerebbero leistruzioni per l’uso prima di un interrogatorio… Anche se in maniera reticente o falsa, poliziotti del gruppo Falcone-Borsellino ci hanno resi edotti che effettivamente quelle cose le avevano scritte loro ma su dettatura di Scarantino. Quindi il fatto come fatto c’è. C’è un’indagine in corso. L’unica cosa che possiamo anticipare dell’indagine in corso, perché ce l’ha anticipata il procuratore quando venne la Boccassini, è che Scarantino si pente il 24-25 di giugno (la notte) e a luglio, per dieci giorni, viene inviato un uomo del gruppo Falcone-Borsellino al carcere di Pianosa per un colloquio investigativo… Un colloquio che dura dieci giorni…
D: Scarantino, falso o vero pentito, perché inizia a collaborare?
Di Gregorio: Non lo so… non credo a quello che lui dice… né pentimento né ritrattazione. Sostiene che non ha retto al trattamento di Pianosa e a questo posso anche credere, perché non a caso nel mio libro ho messo il capitolo su quello che io stessa ho visto a Pianosa. Su quello che i miei clienti mi hanno raccontato, ma soprattutto, su quello che le sentenze hanno documentato. Quindi, che uno possa non resistere a quelle sevizie ci può stare. Tra l’altro Scarantino non ha la stoffa… non ha una personalità capace di elaborare una situazione di questo genere in nessun modo.
La Trattativa
D: C’è stato un periodo in cui avevamo degli imputati che erano soltanto mafiosi o presunti tali. Poi iniziarono a parlare della trattativa. Cominciano a venire fuori dei nomi… Lei ritiene realmente che in quegli anni Cosa Nostra era organizzata militarmente in maniera tale da poter compiere le stragi senza un aiuto esterno?

Di Gregorio:No! Però c’è un però. Quello che noi dobbiamo guardare perché ha un senso logico, cronologico, d’importanza e anche di gravità, è che per la prima volta nella storia dei processi di Mafia abbiamo di nuovo convergenza del molteplice: Brusca, Cancemi, Giuffré che sono i tre pentiti della Commissione, ovvero che facevano parte tutti e tre della Commissione Provinciale di Cosa Nostra, e che sono d’accordo, se non sull’individuazione, sull’esistenza di un soggetto esterno per compiere le stragi.
Brusca dichiara – non lo dico alla lettera ma quasi – che era stato informato del fatto che la strage di Capaci serviva per sbalzare di sella chi comandava e far perdere ad Andreotti la presidenza della Repubblica e che non c’erano riusciti con l’omicidio di Lima perché ci fu un riassetto…
Cancemi sostene: “Sì sono stati presi due piccioni con una fava, nel senso che al popolo di Cosa Nostra (questo è quasi letterale) si disse che era stato fatto per vendetta del Maxi. Diciamo che in realtà la volontà di Riina ha coinciso con interessi di soggetti terzi esterni, di persone importanti…”.
Su questo punto vorrei focalizzare l’attenzione, perchè in Cosa Nostra, di persone più importanti di Riina e Provenzano non c’è nessuno. È chiaro dunque che i soggetti ai quali fa riferimento Cancemi sono al di fuori…
Giuffré parla addirittura di un referendum consultivo preliminare che investì politici, avvocati, magistrati, massoni, servizi, uomini di Stato, di Chiesa etc. etc., di concerto con l’America…
Poi la quadratura del cerchio non si ebbe… Ora, di recente, senza volerlo mettere tra i pentiti, Gioacchino Genchi nel Borsellino-Quater viene a dirci che sostanzialmente Falcone muore per colpa della vicenda dell’Achille Lauro… che bisognava distruggere il CAF, Craxi, Andreotti e Forlani – che poi, se ci pensi un attimo, è la stessa cosa che sta dicendo Brusca – perché si era perso il legame con gli americani che tra l’altro avevano perso interesse dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989. Quindi un colpo di Stato bianco… Veramente rosso perché il sangue è… comunque…un colpo di Stato finto, non palese, attraverso la strage di Capaci. Se crediamo ai pentiti, non capisco perché tutto questo lo dobbiamo buttare, giusto? Sono le vostre fonti di prova, non le mie.
Poi Brusca dice: “Tra Capaci e via D’Amelio quello disse… siccome ho fatto un papello così, se non me lo accettano, visto che non me lo accettano, gli diamo un altro colpetto…”. Che sarebbe la strage di via D’Amelio… questo è quello che Brusca recepisce. Nessuno dei tre è nelle condizioni di dirci chi è il soggetto esterno, cioè le persone importanti etc… e fanno illazioni…

Cancemi sostiene che lui ha riflettuto sul fatto della vicenda Fininvest e che ritenendo che la Fininvest pagasse il pizzo e c’erano dei rapporti, deduce che i soggetti terzi siano Berlusconi e Dell’Utri. Partono le indagini, 36.000 archiviazioni, e sappiamo com’è andata a finire. Brusca dice che non lo sa, Giuffré dice che non ne sa nulla… Insomma, tre membri della Commissione, che sarebbe l’organismo che avrebbe dovuto decidere, non ne sanno niente…
Tant’è che io all’epoca del delitto Lima scrivo che evidentemente la riservatezza del capocommissione all’interno (che non convoca tutto il plenum, e non lo fa per motivi di sicurezza visto che in questo periodo convoca tutto il plenum per decidere dei furti dei TIR e dietro la porta non c’era scritto: qui decidiamo una strage, quindi a momenti arrivano gli sbirri – così come vengono da loro indicati -… oppure: scusate, l’ordine del giorno è… parliamo di… quindi ci possiamo vedere tutti) sembra essere volta alla tutela del mandante esterno, che non rivela neanche ai consociati evidentemente. “Mi faccio fottere ma non rivelo niente”. A questo punto, se di trattativa vogliamo parlare, parliamo di quella pre-stragi, cioè di convergenza di interessi per sbalzare di sella chi comandava… parliamo di questa trattativa. Se parliamo di questa, allora, possiamo anche discutere di elementi illogici, di riscontri logici e persino dell’esecuzione.
Per esempio, siamo tutti d’accordo magistrati, pm… tutti, che dell’agenda rossa di Borsellino la mafia non se ne faceva nulla? Quindi che una mano esterna l’abbia fatta sparire, lo possiamo ipotizzare? Siamo tutti d’accordo perché lo abbiamo sentito dire anche a Spatuzza: “quando abbiamo fatto le stragi del continente, ci sono stati dei falliti attentati… e quelli erano falliti perché eravamo soli”.
Quando io nel corso del processo di via D’Amelio provo a dire: “attenzione, fermi tutti… la dinamica non convince… questa cosa non convince… questa è falsa… qui c’è un problema, la polizia non può essere informata, prima di trovare il motore, del fatto che si tratti di una 126…” e porto 2-3 elementi a riscontro del fatto che invece lo sapevano tutti, la sentenza mi rende edotta del fatto che lo sapevano tutti perché erano geniali… avevano avuto un’intuizione geniale… E meno male… Quando accadono questi fatti, io vengo tacciata in sentenza, iscritto nome e cognome – non si scrive il nome degli avvocati nelle sentenze – di aver ipotizzato complotti istituzionali nel vano tentativo di salvare i miei clienti.
Seconda cosa: noi Nicola Mancino lo abbiamo sentito nel processo di via D’Amelio. L’hanno interrogato Di Matteo e Anna Palma a Roma, in merito alla storia dell’agendina… per fortuna, un’agendina, a prescindere da cosa ci fosse scritto o meno, l’aveva la famiglia… e quella non è sparita… La storia di Castello Utveggio, vero o non è vero… si è scoperto che non è vero… ma dico, almeno non hanno trovato niente che la indicasse come base operativa dei servizi segreti…. Tutte queste cose succedono nel processo di Via D’Amelio… Tutto questo era nel Borsellino-Bis e quando noi provavamo a fare questi riferimenti, se vuoi anche dal punto di vista difensivo, ci hanno massacrati. Quando nel processo abbiamo provato a dire, a dimostrare con i testi… con i documenti in mano… che non era vero che Riina e Provenzano, cioè che tutta l’associazione era un tutt’unitario e che c’era una frattura interna, un intendimento diverso, tant’è vero che dice Brusca: “Biondino mi disse: perché non gli dici a Pietro Aglieri che si prende un bravo perito per la macchina?”, ci hanno mandati a quel paese con l’elastico in modo che quando ritornavi ti ci rimandavano. Perché l’unitarietà dell’associazione si doveva mantenere… perché a onta di quello che veniva fuori che si doveva sopprimere, bisognava che venisse fuori che Cosa Nostra era unitaria, verticistica… tutti quanti assieme appassionatamente in modo che – per esempio – le prove che c’erano su Graviano (un telefonino che viene chiamato da Ferrante) si possano trasfondere anche al mandamento Santa Maria di Gesù, che non c’èra nell’esecuzione della strage… Bene, allora questo discorso appare come la volontà di chi vuole che resti circoscritto e addebitato tutto alla mafia: è stata Cosa Nostra, dall’ideazione all’esecuzione a tutto quello che vuoi tu… È stata Cosa Nostra e in tutte le sue componenti. Abbiamo trasmesso…

No, l’agenda non l’ha presa Cosa Nostra… tutte le cose strane non le ha fatte Cosa Nostra… Come dice Alfonso Sabella: “Non è una trattativa tra pezzi dello Stato e la Mafia, è tra pezzi della Mafia e lo Stato per sovvertire il quadro politico del momento”.
C’è di meglio. Brusca dice al processo Dell’Utri: “Signori, io ho detto a Mangano di mandare a dire a Berlusconi, che stava andando al potere, di vedere di fare belle leggi per noi, altrimenti finiva come era finita per gli altri. Perché – testuale – non arrivo a dire che erano mandanti, ma via via che facevamo le stragi, dalla prima all’ultima, la sinistra sapeva”. L’indomani precisò: “Intendevo dire, quelli che erano al governo, cioè la sinistra DC”.
Tutto questo emerge nel bis e riguarda le stragi. Questa non è trattativa? La vogliamo chiamare Nicoletta? Ma insomma, se c’è un accordo oppure una comunanza d’intenti… oppure una minima partecipazione alla fase ideativa o nell’esecuzione, c’è prima…
All’epoca, Leonardo Messina e un altro di cui in questo momento non ricordo il nome, – adesso anche Spatuzza – nel processo di Capaci sosteneva che l’esecuzione era stata delegata a un gruppo che era a Roma. Sostanzialmente a Falcone dovevano sparare con la pistola. Improvvisamente, mentre, sono lì e stanno perdendo tempo, perché certi mafiosi sbagliano la matriciana con la carbonara e viceversa, vanno a fare l’appostamento nel ristorante sbagliato anziché in quello dove Falcone era solito andare… Vengono richiamati. L’ordine è: Tornate indietro!
Se c’è delibera di Commissione, a gruppetto o plenaria che sia, è: ammazzatelo con la pistola! Qual è la fase successiva, deliberativa, per cui diventa strage e diventa strage a Palermo tirandosi addosso l’attenzione dell’esecuzione? Non si sa. Non si sa perché con nessuno dei componenti della Commissione è stata presa la decisione e a nessuno di loro è mai stata comunicata. E’ stato solo comunicato loro operativamente… ammazza… prendi l’esplosivo… tu prendi questo e tu fai quell’altro… Chi ha fatto cambiare aspetto alla vendetta su Falcone? Perché quella era vendetta… quella poteva essere la vendetta del maxi… sparargli in testa… Facendolo diventare un fatto terroristico, eversivo, di strage con quelle modalità, non si sa… non si sa… Perché gli stessi componenti della commissione pentiti, o non ce lo vogliono dire perché hanno paura (però gli paghiamo lo stipendio) o non lo sanno. Di fronte a questo aspetto che non venne indagato, dopo 22 anni, se a Caltanissetta si vuol fare chiarezza ci sono molte più difficoltà… perché la prova è bella fredda ormai e loro che erano là – compreso Nino Di Matteo, compresi gli altri non hanno fatto queste ricerche – hanno criminalizzato la difesa solo perché era in chiave difensiva. Perché non indagavano all’epoca su questi aspetti? Adesso mi vai a fare le indagini… Ma io glielo ho detto comunque, scusi lei va a fare l’indagine su chi poi, eventualmente, ha trattato per porre fine alle stragi? Questa è la trattativa? Stiamo facendo credere all’opinione pubblica che la violenza e la minaccia allo Stato sia stata fatta da quelli che hanno cercato… No. La violenza e la minaccia sono le stragi! Lo Stato è stato violentato e minacciato attraverso fatti di sangue quindi, l’ordine logico, cronologico di gravità e, guarda caso, qualche piccola prova, ce l’abbiamo sul prima. Perché non si deve toccare il prima? Mi ha risposto: “Perche’ è competenza di Caltanissetta…”. Ma lui dov’era finora? Questo è lo stato dell’arte. Se poi andiamo ad analizzare questo momento, cioè il “Processo trattativa oggi”, quello che è portato a dibattimento, dov’è la trattativa?

Poniamo caso che sia tutto vero quello che dicono – e io non sono di questo parere – prendiamolo per buono: Mori se né va da Ciancimino e dice: “Questi stronzi, hanno ammazzato Lima, hanno ammazzato Falcone e tutto quello che è successo… piglia contatti e vediamo che caspita vogliono e che testa hanno che vediamo di …”. Lui dice: “Vediamo di fotterti”… il figlio di Ciancimino sostiene che era per fare cessare le stragi… Ok, dov’è qua la minaccia? Dov’è la violenza? Il reato di trattativa non c’è, non esiste. Qual è il reato nel momento in cui un’ufficiale di polizia giudiziaria cerca di dire: “che facciamo?”
Perché, non lo sappiamo che si cerca anche dal punto di vista investigativo di trovare pure soluzioni diverse? Poi se sono politiche, sono politiche… Se si dice per ipotesi che Mannino era spaventato, pure io al suo posto avrei avuto paura, e Mannino dice a Mori – sempre che lo provino evidentemente – : “vedi di prendere contatti perché questi vogliono ammazzare pure a me… perché Falcone mi ha detto che siamo tutti… Già Falcone è morto, Borsellino è morto pure, adesso tocca a me perché sono quello della sinistra DC che ha fatto…” dov’è la minaccia al corpo dello Stato? Perché sarei partecipe di una trattativa?
Poi se fosse vero che Dell’Utri portava i messaggi a Berlusconi dicendo ”attento, perché questi qua o noi cambiamo registro e facciamo belle leggi o continuano con le stragi”, dov’è la trattativa? Non l’ho capito, perché peraltro non si è realizzata…
L’Avvocato
D: Come vive tutte le accuse che le vengono mosse per essere l’avvocato dei più grandi boss o di imputati accusati di essere coinvolti in crimini che a volte destano anche raccapriccio?
Di Gregorio: Dentro di me benissimo, nel senso che non me ne importa un fico secco delle etichette perché non me ne è importato mai niente… inoltre, se i miei assistiti hanno scelto me vuol dire che negli anni hanno visto il mio impegno, l’attenzione con la quale seguo i loro processi… da un certo punto di vista potrebbe essere gratificante. Ma poiché sono una persona che vive anche nella società, visto che non vivo solo in tribunale partecipando ai processi, da questo punto di vista è molto fastidioso, mortificante, ed è servito ad alcuni, parlo di qualche mio collega meno capace, a suggerire a qualche mio probabile cliente di non rivolgersi a me poiché essendo l’avvocato dei boss poteva esser contro produttivo… Ad altri, quelli che si sono auto-etichettati “società civile” (forse per distinguersi da quella penale – alla Di Gregorio l’ironia non manca…ndr) a dire “fai schifo perché sei un soggetto riprovevole perché assisti…”. “Assisti”, secondo loro significa che sei depositario di… sei fiancheggiatore di… e quindi questa parte mi fa schifo, la rigetto. Ho cercato anche nel tempo di promuovere e sensibilizzare sul tema anche presso quelle che chiamano “Ordine degli Avvocati”, “Camere Penali”, che dovrebbero essere gli organismi della cosiddetta Casta che non esiste, dicendo che è una situazione pericolosissima, non tanto su di me che me la sono sempre cavata da sola, quanto sulla categoria che viene screditata e associata a funzioni che non deve svolgere e non svolge. Ma di base, se in questo senso sei ingombrante, prevale il ragionamento meschino dell’egoismo che finisce con il far loro piacere. Se a questo aggiungiamo che non abbiamo forza e struttura per potere avviare un’attività che dimostri, tramite seminari o altro, la funzione sacra del difensore, si comprende bene le difficoltà alle quali si va incontro…

D: Lei ritiene che da questo punto di vista nei suoi confronti ci siano stati atteggiamenti ostativi, oltre che da parte di qualche collega, anche da parte degli organi giudiziari?
Di Gregorio: Certo! Una volta ricordo che oltre ai conti avevano messo sotto controllo persino il telefonino dei miei figli che allora avevano 14 e 18 anni. Non sono riusciti a mettere sotto controllo quello di casa, perché ricordo che c’era un disturbo strano all’apparecchio e uscendo ho detto a mia figlia che se fossero venuti gli operai dell’azienda telefonica e avessero voluto mettere mano alle prese non avrebbe dovuto lasciarli fare perché avrebbero messo le microspie… Mia figlia ha eseguito l’ordine ed immediatamente l’apparecchio telefonico si è auto-riparato senza che si fosse reso necessario alcun genere d’intervento… In ambienti giudiziari mi dissero pure che mi avrebbero fatto un processo… Processo che invece fecero a Franco, mio marito, per il semplice fatto che io avevo tre cose diverse: in fondo la stragrande maggioranza dei miei colleghi mi coccola; i giudicanti nei miei confronti avevano un atteggiamento più grazioso e benevolo; godevo di buona stampa.
Iniziò così un processo a mio marito, il cui il primo grado durò 6 anni, nel corso del quale il pubblico ministero esaurite le domande ai pentiti su di lui, le faceva su di me anche se non ero ufficialmente né imputata né indagata. A fronte di una sentenza ampia di assoluzione ci fu il ricorso in appello e successivamente in Cassazione. Ovviamente, le perdite dal piano economico a quello di immagine, si riversarono su tutto lo studio. All’attività giudiziaria si aggiunsero le voci di corridoio, le insinuazioni, le dicerie. I processi li affronti, ma la calunnia… Tanto per citare un esempio, le voci messe in giro sul fatto che io – ai tempi di Mannoia – dopo che avevo scritto il libro, il primo, al carcere avevo rapporti sessuali con i miei clienti nella sala avvocati… lì, davanti a tutti…
Pensavano in questo modo di spaventarmi, terrorizzarmi o neutralizzarmi… invece io stessa ho raccontato a tutti quel che si diceva, dal primo cancelliere sino all’ultimo, dicendo che evidentemente a mettere in giro queste voci non poteva che essere qualcuno che non aveva mai messo un piede nella sala avvocati… fango buttato… schizzi per sporcare chi crede nella propria professione, nel tentativo di demotivarlo, di convincerlo a lasciar perdere… Di contro devo anche dire che ci sono stati altri colleghi che ci sono stati vicini, che hanno voluto organizzare incontri sui limiti e i rischi della professione forense, il diritto di difesa con tutto quello che comporta…
D: Cosa significa essere una donna avvocato? L’avvocato dei boss…
Di Gregorio:Era una tragedia… Ora non più perché le mie colleghe ci sono e sono tante. Ricordo che quando ho messo per la prima volta piede al carcere ho chiesto al brigadiere dove potevo andare in bagno e lui mi chiese: “Ti devi lavare le mani?” Pensai: “Ma guarda che cafone…” e risposi: “Certo che mi devo lavare le mani…”
Mi indicò il bagno, guardai dentro e tornai nella sala avvocati: “Brigadiere, io non mi dovevo lavare le mani, dovevo fare pipì”. Mi rispose:“Ed io perché te l’ho chiesto? Tu lì non la puoi fare perché ci sono solo i cessi al muro, qua le toilette per le donne non le avevamo previste. Tu me lo dici e ti accompagno nei nostri uffici”. Questo fu il mio primo impatto all’Ucciardone. Avevo solo 28 anni e una faccia da bambina… Quando hanno fatto la nuova sala avvocati e mi hanno fatto il bagno, mi sono sentita un’altra persona. Quando sono andata a Pianosa, nell’agosto del 1992, hanno bloccato la nave e io chiesi se ci avremmo messo molto a ripartire. Scoprii così che il problema ero io perché non era previsto che potesse esserci un avvocato donna dove si scontavano pene in regime di 41 bis… Si chiesero: “E a questa adesso come la perquisiamo? Non è che ci possiamo mettere le mani addosso…”. Mi perquisirono, si misero anche il guanto ginecologico che poi si guardarono bene dall’usare – e questo l’ho scritto nel libro – chiedendosi: “ma con lei forse non si può usare perché non è una parente…”. Mi perquisirono tra le dita dei piedi, forse per giustificare che avevano messo il guanto… Poi la seconda volta capirono e andarono più spediti…
“Mi devo spogliare di nuovo nuda?” – “No” – mi risposero. In un’altra circostanza m’imbattei in un Presidente che era misogino da morire. Per lui le femmine dovevano starsene a casa a lavare i calzini. Mi disse: “Lei ci deve andare in America a sentire Mannoia?”. No presidente – risposi –, ho sentito dire, nell’altro processo, che non parla…”. Presidente: “Va bene, risparmiamo… comunque, stia attenta con quei tacchi, perché se casca si rompe una gamba…” ed io velenosissima risposi che uno una gamba se la può rompere anche senza tacchi. Fatalità, si ruppe il femore a seguito di una caduta. Da quel momento in poi il suo atteggiamento cambiò, tanto che nel successivo viaggio mi vide in aeroporto e lui, che era con la moglie, esclamò: “C’è l’avvocato Di Gregorio, possiamo partire…”. La moglie: “Perché?” e il Presidente: “Lei è la mia mascotte”. Intanto le perquisizioni al carcere dell’Ucciardone per i miei colleghi le avevano istituite, a me non mi perquisivano perché non avevano personale femminile. “Non me ne frega niente – dissi – Io non entro se voi non mi perquisite… che poi un eventuale coltello lo avrei portato io, no?”. Cose allucinanti…
Ora le mie colleghe sono in Paradiso. Loro si sentono a volte emarginate, ma di che state parlando gli dico io, non mi fate ridere. E racconto loro la storia di quando volevo essere discreta e dissi al brigadiere che dovevo lavarmi le mani…
***
Torniamo a ripercorrere insieme i processi,dal Borsellino-ter alle nuove indagini per arrivare al Borsellino-quater. Non so se si arriverà mai ad una verità certa, ma io una certezza ormai ce l’ho: esiste un problema, intanto di sistema e senza voler arrivare a pensare che possa essere stato tutto imbastito, non v’è dubbio che lo Stato la trattativa la condusse ma, come dice la Di Gregorio, quale fu la vera trattativa, quella per mettere fine alle stragi o quella che portò alle stragi?
E questo brivido che mi corre lungo la schiena, è dovuto all’aria condizionata dello studio?
Ringrazio l’Avvocato Di Gregorio, mi accommiato con un sorriso e una stretta di mano e mentre scendo le scale mi chiedo: Perché una persona, una donna, decide di vivere in una terra come la nostra ed esercitare una professione come quella dell’avvocato? Ripenso a tutto quello che tra le righe bianche è scritto nel suo libro. A quello che è scritto in chiaro e che tutti possono e dovrebbero leggere. Fuori c’è il sole! La Sicilia non è fatta solo di sangue, morti e bombe…
Gian J. Morici
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