Era convinto di averlo lasciato li, ma non era così. Era stato in cucina, aveva fatto colazione, erano buoni i biscotti? Si sicuramente lo erano, la sazietà non è una cosa da ricordare, se aveva mangiato così tanto evidentemente lo erano.
Non poteva averlo lasciato in bagno. Perfino uno stupido sa che in bagno è meglio non portare certe cose. E lui non era stupido. Non lo sarebbe stato mai. Eppure qualcosa non gli faceva combaciare le tessere del mosaico.
Il giorno prima? Era morto il cane? Ma era il giorno prima? No, il giorno prima si era messo in giardino. Allora era lì.
Il giardino però non era un posto dove stare. Troppo sole e poco giardino. Anzi si direbbe proprio che la casa il giardino non ce l’ha.
Allora si cerca in casa, cercare è proprio dell’uomo, dell’essere umano di ogni ordine e grado. Nella miniera di ciò che si cerca scavano tutti gli infelici.
Questa dovrebbe scriverla, sarebbe un’idea, uno spunto. La vita ne offre tanti di vicoli per arrivare al corso principale dell’esistenza, fatti di frasi, righe, sorrisi, amori e traduzioni di sentimenti criptati.
Sta a chi scrive spesso svelare quello che nuota nelle acque scure della profondità dell’anima.
In camera da letto, luogo di erotismo, di sogni infranti e creati, di sogni traghettati da un corpo all’altro, di maledizioni e tributi a corpi indimenticabili o dalle curve da percorrere in una notte.
Quanti corpi aveva sedotto, passando prima dall’anima.
Le parole, chiavistelli di esistenze blindate alla banalità che saltano con l’amore scritto in pagine.
Le parole, granelli che inceppano matrimoni oliati, pronunciate da poeti che non seguiresti mai, se non avessero declamato quella pagina.
Pietre preziose incustodite, alla mercè di chi le ruba insieme, o una alla volta e le ricompone, per cuori ignoranti o ingenui che non ne sanno la provenienza.
Usucapioni, d’amore, possesso di veicolo poetico per arrivare al cuore di una donna, a volte attraverso le sue gambe.
L’alibi per cui a poesie letterarie non nostre, falsifichiamo che lo sono di fronte a occhi cui non mentiremmo mai se non per arrivarci o per un seno per cui uccideremmo.
Si cela in poesia la dolce laidità liberatoria del sesso di una sera, nasconde tra i libri una passione infuocata.
Trova tutto, ma non ciò che cercava.
La cucina? Ma non c’era già stato? Eppure a volte è erotica quanto un talamo, a volte di più. A volte. Se non si infiochisce quella luce che quando diventa di colori tenui, sa di compiti a casa fatti in mezzo ai panni da stirare, di madri scompigliate che non desiderano più di essere abbrancate a sorpresa dalla voglia animale del proprio uomo.
Il salotto, termine da cui a volte scappare, quando i posteriori che poggiano sulle sedie partoriscono pensieri più distorti di un cervello distrofico. I salotti di quelli che lo idolatrano senza avere la più pallida idea di cosa abbia nelle paludi del cuore, che cosa resta impigliato nella melassa sempre più impenetrabile del suo scrivere. O provare a farlo.
I salotti buoni, la sua maledizione, farne parte senza volerne far parte. Perchè è di moda. Perchè è trendy.
Ma il suo salotto non è buono. È suo, fatto delle sue parole, del bicchiere coi migliori amici. Del suo ragionare, del suo partorire.
Spesso il salotto confina con la sala parto delle pagine creative. Lo studio.
Da fuori in tanti si chiedono come sarà fatto il tuo studio. L’idolatria porta a pensare che un uomo sia sempre ciò che mette per iscritto. L’adorazione porta a pensare a purezza di sentimenti. Senza intuire che bisogna essere intellettualmente criminali per fare questo mestiere. Basterebbe associare le sinapsi.
Devi essere un guardone per entrare nelle case della gente per descriverne poeticamente lo squallore domestico e farne un best seller. Devi sapere che sapore ha il sangue per dare una impronta delle guerre e delle vite che si perdono dando l’impressione che chi legge si macchi davvero di quel sangue.
Devi possedere paura per descriverla, coraggio per tracciarlo, amore per descrivere il vero adulterio.
Devi essere. Non vegetare.
Ma quello che cerca non è neppure lì. Neppure nel salotto, neppure nello studio. E dire che lo studio dovrebbe richiudere tutto il suo sapere, impregnarsi di esso. La libreria dovrebbe rilasciare almeno una parte di umori, di tumori, di dolori e di assenze che lui ha donato. Non è da tutti avere il talento di riempire uno scaffale di libreria, due, tre. Lui può. Senza essere trombone. Senza salire in cattedra. Con chi lo ama bene, beve un bicchiere, senza filtri. Almeno gli sembra.
Piano superiore e piano inferiore. Non c’è. Non lo trova.
Allora va in solaio. E per un secondo, quello che gli concede un male assassino del suo essere, pensa.
Pensa che una casa è come una persona, Gabriel si sente una casa, si sente ancora una persona. Il solaio è la sua dimensione, come lo è nella casa. Il solaio è sottovalutato tutta la vita, pensi di archiviare quello che non ti serve e invece spingi ricordi, metti ciò che non vuoi essere ma di cui non sai liberarti. Perchè in fondo sei quello che metti da parte. Puoi fuggire, ma i ricordi sono dentro la tua testa, come gli scatoloni sono in solaio.
Il solaio è la testa della casa. Non dimentica. Deve essere lì che troverà quello che cerca.
Nel solaio c’è l’essenza di quello che siamo, nel caso di Gabriel, di quello che scrive.
È lì. “Cent’anni di solitudine”, insieme a tutti gli altri, anche quello che tanta curiosità suscitò in tanti lettori per l’assurdo titolo: L’incredibile e triste storia della candida Erendira e della sua nonna snaturata.
Quello che ha scritto sta ancora nelle pagine che riconosce. Fino a oggi il solaio dei ricordi è nel solaio della casa. Finchè saprà dove coincidono sarà un giorno in più che saprà cosa è stato. Uno scrittore di anime.
La cui anima sta fuggendo e non lo farà scrivere più. La sua anima fugge, da una piccola finestra del suo solaio. Non ricorda chi gli diceva che un uomo è sconfitto quando non può più fare quello per cui la natura lo ha messo al mondo.
Fino a oggi l’Alzheimer lo ha lasciato andare dove voleva. Domani è tempo che scorre, tempo che sa di eternità nel solaio di Gabriel Garcia Màrquez.