IL PARERE DELLA PSICOLOGA – CATTIVE FAMIGLIE TELEVISIVE

Da mesi, ormai, le televisioni, i giornali, il web, riportano la notizia del caso “Scazzi”, con sempre nuove rivelazioni e dichiarazioni da parte degli attori protagonisti o dai vari esperti che a turno vengono interpellati e si susseguono nei vari salotti televisivi.
In questi mesi abbiamo assistito ai vari “colpi di scena” della vicenda enunciati, ovviamente, dai presunti colpevoli, con un richiamo inevitabile dei mass media, che immancabilmente accorrono a registrare “per primi” ogni più morbosa, a volte anche insignificante, rivelazione.
La mediaticità di questo caso mi ha riportato indietro con la memoria, a qualche anno fa, e precisamente all’omicidio del piccolo Samuele Lorenzi avvenuto il 30-01-2002. Che nesso hanno i due casi? Perché l’omicidio di Sarah Scazzi mi riporta alla memoria Samuele? Le due storie sono così diverse!
Si è vero, le storie sono diverse. Diversa è l’età dei protagonisti, diversi sono i moventi, il grado di parentela dell’omicida o del presunto tale, diverso è lo status socio-economico delle famiglie, e anche la collocazione geografica delle abitazioni. Ma allora perchè scrivere un articolo su questi due casi? Cosa mi ha colpito in particolare?
Credo che l’elemento comune alle due storie è che ci si dimentica delle vittime, vengono collocate sullo sfondo di ogni notizia che ci troviamo a leggere o a sentire, quello che più fa figura in maniera prepotente è colui il quale commette l’efferato delitto.
Chi è? cosa fa? È pazzo o normale? Ha amici o è solo? Perché l’ha fatto?
Non voglio di certo rispondere alle domande sopraelencate, non ho gli strumenti, non ho mai visto e effettuato colloqui con i protagonisti delle vicende, e credo che debbano rispondere , nelle apposite sedi, gli esperti incaricati che si stanno, o si sono, occupati, in maniera diretta dei casi. La mia intenzione è quella di spostare l’attenzione sulle relazioni familiari, o meglio, sulle modalità relazionali della famiglia Misseri e Franzoni, partendo da “come” queste “famiglie” hanno gestito tali eventi, non solo luttuosi, ma anche, e soprattutto giudiziari.
In entrambi i casi assistiamo continuamente ad una ricerca della mediaticità A TUTTI I COSTI come se il valore processuale e giudiziario, e ancora di più, l’INNOCENZA, si acquisterebbe con le numerose apparizioni e dichiarazioni delle proprie verità in televisione. Si utilizza il mezzo televisivo per ottenere l’appoggio dell’opinione pubblica ed essere assolti dal capo d’accusa. Assistiamo alla continua svalutazione dei legali e della loro strategia difensiva con il conseguente “licenziamento” e sostituzione degli stessi.
Ma in tutto questo balletto mediatico ciò che desta la mia attenzione sono coloro che stanno sullo sfondo e come registi guidano i loro attori. Non fanno dichiarazioni, compaiono in tv solo per immagini rubate, non rilasciano interviste ma in silenzio muovono le pedine del gioco: mi riferisco a Cosima (madre e moglie dei presunti assassini di Sarah) e Giorgio (nonno materno di Samuele). L’impressione che ne ricavo dall’osservazione meramente televisiva è che entrambi, con tratti e sfaccettature diverse e diversificate, sono riconosciuti dai loro familiari come i membri che detengono il “potere” della famiglia. La gestione del potere influenza, inevitabilmente, le modalità relazionali di tutto il sistema familiare e il “destino” dei membri stessi.
In entrambe le famiglie troviamo un legame molte forte tra i vari membri, legame che non viene messo in discussione neanche quando si trovano ad affrontare momenti di forte crisi e stress. Sono famiglie che mettono in campo modalità di relazione a tratti “confluenti” ma anche “retroflessive”, ovvero: nel primo caso la forza di chi detiene il potere può essere esagerata, essa è tenuta da una persona della famiglia la quale delega ad un altro membro (in genere quello che ritiene più simile a sé) tale potere (Cosima a Sabrina), il quale assume un atteggiamento e comportamento simile al familiare potente. Sono famiglie con un forte senso di appartenenza e non consentono “agli estranei” di invadere la loro intimità o di rompere eventuali schemi e/o equilibri interni. Nel secondo caso, i membri familiari hanno la tendenza a mantenere, in maniera rigida, i confini con il mondo esterno, sono molto riservate: ogni preoccupazione, ogni segreto, guaio, non viene esternato, e rimane all’interno delle mura della casa. Queste famiglie danno un’eccessiva importanza alla vita privata.
Nelle famiglie Misseri/Lorenzi-Franzoni sono presenti entrambe le modalità di relazione con una rilevanza maggiore o minore della modalità confluente o/e retroflessiva.
Alla luce di queste considerazioni credo che nella famiglia Misseri prevale più il tratto confluente, è questa mia affermazione viene fatta proprio in analisi del comportamento tenuto da Michele Misseri, il quale, accusando la figlia, sta simbolicamente, ribellandosi ad un “patto”, tacito o verbalizzato, fatto non solo con la moglie ma anche con Sabrina, inoltre sta cercando, a suo modo, di ledere la leadership in primis della moglie e successivamente della figlia. Ma perché proprio in questo momento? Probabilmente perché in questo momento del suo ciclo di vita, personale e familiare, egli, sta ricevendo un sostegno, dato dai suoi legali, che gli consente di trovare la forza per “sganciarsi”, come individuo autonomo, da un contesto familiare che non gli ha permesso di esprimere la sua autonomia ed individualità.
Nella famiglia Lorenzi-Franzoni, invece, prevale il tratto retroflessivo, infatti, con il sostegno della famiglia (soprattutto del padre, e per delega di quest’ultimo, del marito), la Franzoni, si proclama sempre innocente, tant’è, che tentò di indicare un responsabile alternativo, indicando vari vicini di casa, contro i quali peraltro non sembrava avesse particolari animosità pregresse, quali “veri assassini”. Ciascuno dei vicini additati dalla donna aveva in realtà un solido alibi. Nel luglio 2004, Annamaria Franzoni e il marito Stefano Lorenzi sporsero denuncia contro un vicino di casa, Ulisse Guichardaz, indicandolo come il “vero assassino”, attribuendogli oscuri moventi ed elencando una serie di “indizi” contro di lui. Tali accuse vennero giudicate inattendibili dagli inquirenti alla fine del primo processo. A seguito dell’accusa i coniugi Lorenzi vennero quindi indagati per calunnia nei confronti di Ulisse Guichardaz.
Quello che è più difficile per delle famiglie del genere è riuscire a differenziarsi, ovvero, esprimere al sistema familiare la propria individualità. La difficoltà sta nel fatto che per diventare individui autonomi significa correre il rischio di allontanarsi, distanziarsi dall’altro, e questo è difficile, a volte intollerabile. L’unico modo che i membri di tali famiglie hanno per gestire l’ansia del conflitto, della separazione, del processo di individuazione, è quello di rimanere uniti indicando in qualcosa esterno ad essi da eliminare: Sarah, perché al di fuori della famiglia e in qualche maniera “disturbava” i membri stessi, Samuele perché fisicamente (la Franzoni sosteneva che aveva la testa troppo grossa per la sua età) era diverso dai familiari.
Vorrei concludere con le parole del cantautore Samuele Bersani, il quale nel 2003 scrisse una canzone dal titolo “Cattiva”, ispirandosi proprio alle vicende del piccolo Samuele Lorenzi.

Chiedi un autografo all’assassino
guarda il colpevole da vicino
e approfitta finche’ resta dov’é
toccagli la gamba fagli una domanda, ancora
chiedi un autografo all’assassino
chiedigli il poster e l’adesivo
e approfitta finche’ resta dov’è
toccagli la gamba
fagli una domanda
cattiva
spietata
è la mia curiosità impregnata
di pioggia televisiva
comincia un’altra partita….
2003, Samuele Bersani

Dott. Irene Grado
Psicologa-Psicoterapeuta della Gestalt
Contatti: 338-9908067 e-mail: ire.gr@libero.it

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